Riforma del processo penale, sì del Senato, no (scontato) dell'Anm
Ampie modifiche in materia di prescrizione, anche per scoraggiare le lungaggini, e di intercettazioni, soprattutto per tutelare la privacy dei soggetti tirati in mezzo senza motivo. Pene più dure per alcuni reati
Con 156 sì, 121 no e un solo astenuto, il Senato ha approvato con la fiducia la riforma del processo penale. Il testo era passato alla Camera il 23 settembre 2015 e alla commissione Giustizia del Senato il 1 agosto 2016, ma essendo stato modificato tornerà al vaglio di Montecitorio. Le modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, spiega Palazzo Madama, vertono in particolare sul “rafforzamento delle garanzie difensive, sulla durata ragionevole dei processi e sull'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena”. In sostanza il provvedimento di ben 40 articoli prevede una riforma della prescrizione, la delega al governo sulle intercettazioni da attuare entro tre mesi (non più 12) e una stretta su furti, rapine e altri reati.
Quanto alla prescrizione, dopo la condanna in primo grado il termine resterà sospeso fino al deposito della sentenza di appello, e comunque non oltre i 18 mesi. Stesse tempistiche per la condanna in appello. Questi termini ricominciano a decorrere in caso di sentenze riformate o annullate. L'argomento è strettamente connesso alla cosiddetta “indagine breve”: l'obiettivo è evitare le lungaggini che potrebbero influire sulla prescrizione stessa. D'ora in poi, entro tre mesi - prorogabili per altri tre - dal deposito degli atti, i pm dovranno decidere per il rinvio a giudizio o per l’archiviazione, altrimenti scatterà l'”avocazione obbligatoria” dell’inchiesta del procuratore generale alla Corte d’appello. I termini attuali sono di sei mesi, prorogabili per altri sei. Per i reati di mafia, invece, le indagini preliminari potranno durare fino a 15 mesi.
Ampie modifiche in maniera di intercettazioni: la ratio è garantire la privacy soprattutto a chi viene tirato in mezzo anche quando non ha nulla a che fare con un'inchiesta. Il perimetro andrà circostanziato con i provvedimenti del governo, ma la sensazione generale è che sia i magistrati sia i giornalisti avranno il grilletto meno caldo. Non potranno essere in alcun modo divulgabili i risultati di intercettazioni che abbiano coinvolto occasionalmente soggetti estranei ai fatti per cui si procede. Nello specifico, poi, c'è una nuova fattispecie di reato a proposito della diffusione di immagini o conversazioni telefoniche captate in maniera fraudolenta. Verrà punito con il carcere fino a 4 anni chi diffonderà del materiale solo per danneggiare la reputazione dell'interessato. La punibilità viene meno se le registrazioni integrano una prova in un processo o sono usate per la difesa o per il diritto di cronaca. Vengono disciplinate le intercettazioni effettuate con virus informatici, i cosiddetti trojan, prevedendo che si possa procedere a intercettazione ambientale senza limiti solo per mafia e terrorismo.
Il testo prevede l'inasprimento delle pene per furti in abitazione, scippi e rapine, per l'estorsione aggravata e sono più dure soprattutto le sanzioni in caso di voto di scambio: attualmente è previsto il carcere da 4 a 10 anni, e ora si passa da un minimo di 6 a un massimo di 12. L'ordinamento penitenziario viene rideclinato sotto il verbo della rieducazione. Il riferimento, ad esempio, è al lavoro retribuito o al volontariato dentro e fuori dal carcere. Inoltre si assisterà al potenziamento dell'assistenza psichiatrica e al riconoscimento del diritto all'affettività. Ancora, si parla di interventi per l'integrazione dei detenuti stranieri, per la tutela delle detenute madri e per il reinserimento sociale, specialmente dei minori.
L'Anm boccia la riforma
L'Associazione nazionale magistrati contesta diverse criticità della riforma. "Questa mattina il Senato ha approvato, con voto di fiducia, il Ddl di riforma del processo penale senza introdurre alcuna modifica migliorativa a un impianto, seppur per taluni aspetti positivo, per molti altri contraddittorio e irrazionale, come quello relativo alla norma che obbliga il pm a esercitare l'azione penale o chiedere l'archiviazione entro tre mesi dalla fine delle indagini preliminari e a quella che prevede l'obbligatorietà dell'avocazione da parte del procuratore generale presso la Corte d'appello. Ancora una volta è stato impedito il dibattito parlamentare su una materia complessa e delicata, che avrebbe richiesto un ampio confronto". E' l'Anm a sottolineare di aver "rappresentato le diverse criticità contenute nell'intervento normativo e ciò nonostante, a un'iniziale apertura al confronto non è seguita alcuna iniziativa concreta".
"Molte delle norme oggi approvate – prosegue la giunta esecutiva centrale dell'Anm – non solo non contribuiranno all'accelerazione dei processi, ma sono paradossalmente destinate a creare una stasi negli uffici giudiziari, rallentando il lavoro delle Procure, fino a bloccarlo completamente e a portarlo al collasso, con evidenti conseguenze negative sull'efficienza dell'intero sistema". "In assenza delle auspicabili correzioni alla Camera – rileva ancora l'Associazione Nazionale Magistrati – queste modifiche normative sono destinate ad avere come unico risultato quello di vanificare migliaia di indagini, soprattutto quelle più impegnative e delicate; in primo luogo quelle relative ai reati commessi a danno dei soggetti deboli, quelle di corruzione e quelle a rischio prescrizione. Far passare enfaticamente come risolutiva dei problemi della giustizia penale una
riforma non organica che rallenta i processi si tradurrà ancora una volta in un danno per i cittadini".