Un'Angela per il Cav.
Salvini morde, ma a Berlusconi non interessano polemiche da birreria. La riabilitazione passa da Merkel
Roma. Non è tanto la rielezione che sogna, ma “la riabilitazione totale”, come dice Paolo Romani, che è qualcosa di più di un posto in Parlamento, di una vittoria giudiziaria, persino di più della revisione della legge Severino. Anche perché Silvio Berlusconi si è convinto che restare fuori dal Parlamento, come lo sono Grillo e Renzi, leader senza essere parlamentari, potrebbe anche risultare ininfluente, se non persino vantaggioso. Così anche la famosa sentenza del tribunale di Strasburgo, attesa per la fine dell’anno, non è il viatico per tornare in Senato, ma il lasciapassare definitivo verso la riabilitazione. E allora quei venti minuti con Angela Merkel, giovedì, per il Cavaliere sono diventati un formidabile evento narrativo, una meta della sua scalata verso la superficie, la luce della presentabilità. “Era circondato e conteso dalle telecamere e dai fotografi di mezzo mondo. Avreste dovuto vederlo”, racconta Maurizio Gasparri, che c’era al congresso del Ppe di Malta. “I tempi sono duri, certo, ma Berlusconi è di nuovo un protagonista”, dice lui. “Giovedì era anche cominciato l’ennesimo processo ‘Ruby’. E non se n’è accorto nessuno. Queste cose hanno scocciato”. E chissà se è vero, o se invece la tensione mediatico-giudiziaria si è attenuata solo momentaneamente, proprio per effetto della penombra calata su Berlusconi dopo la caduta del suo governo e l’espulsione dal Senato, ed è al contrario pronta a riaccendersi non appena lui dovesse – chissà – miracolosamente tornare a risplendere. Ma nel momento in cui Matteo Salvini strepita perché “Berlusconi deve dire se sta con l’Italia o con la Merkel”, il Cav. fa spallucce, per lui conta la possibilità di tornare nel grande gioco, che è fatto anche di relazioni e legittimazioni internazionali. E non è dunque la piccola dimensione delle alleanze, non sono le polemiche da birreria padana a preoccuparlo se può lanciare un messaggio: guardatemi, non sono un paria e posso anche tornare al governo. Le alleanze, in Italia, verranno. Più si avvicinano le elezioni, più la spinta a incontrarsi con la Lega e con Giorgia Meloni diventerà fortissima. E’ la logica a dirlo.
E da qualche mese ormai pare sia tornato anche alle vecchie abitudini, che lo rivelano più a suo agio, più simile al se stesso che anche lui è sempre stato abituato a conoscere: le serate cantate ad Arcore, le barzellette generosamente elargite (l’ultima raffica in un vivaio di Pistoia, dov’è atterrato in elicottero per acquistare delle piante, ed è finito con l’intrattenere giardinieri e vivaisti: “Sapete qual è la differenza tra un carciofo e una supposta?”). Così Berlusconi è persino tornato il padrone giocoso e sadico di un tempo, per la sua corte di deputati e senatori, ai quali, dopo aver spiegato (a Natale) che la vecchia guardia sarebbe stata riconfermata per intero ma spedita – nella prossima legislatura – al Senato, adesso ha invece prospettato la possibilità vertiginosa del pensionamento: “Vorrei candidare un terzo di professionisti, un terzo di esponenti delle categorie produttive… e un terzo di gente del partito”. Un terzo, dice il Cavaliere, che innaffia il suo “Albero della libertà”, che non si sa ancora se è il nome di una coalizione o di un programma di governo, ma è di sicuro un simbolo che è già stato disegnato, una “cosa”, forse una vaghezza, che lui avrebbe voluto chiamare “quercia” (ma poi qualcuno gli ha ricordato di Achille Occhetto, e lui ha lasciato perdere).
Il programma l’ha esposto da tempo, e adesso – mentre persino Gustavo Zagrebelsky si spinge a dire che un accordo del centrosinistra con il Caimano “non è per forza un inciucio” – sembra meno improbabile di quanto non suonasse un anno fa: “Vedrete che sarò io l’argine a Grillo”. I sondaggi della sua fidata Euromedia dicono che il centrodestra unito ha il 33 per cento (il 40 con lui in campo). Ma lista unica, proporzionale puro o listone che sia, Berlusconi sa che i suoi voti – tanti o pochi – hanno l’incalcolabile vantaggio di essere spendibili sul mercato. Possono cioè concorrere a formare qualsiasi tipo di alleanza, o maggioranza parlamentare. Possono aiutare Matteo Renzi, o un altro esponente del Pd, a tentare la strada della grande coalizione. O possono rendere competitivo il centrodestra, chiunque ne sia il capo. E su chi ne debba essere il capo, una volta conquistata la “riabilitazione totale” di cui parla Romani, il Cavaliere ovviamente una mezza idea ce l’ha.