“Spero che i grillini trovino il tempo di studiare”. Parla il prof. Cassese
“I partiti sono ormai diventati reticenti. Mi auguro che Renzi riprenda slancio, imparando dai propri errori”
Professor Cassese, come vede l’Italia dopo le primarie Pd?
Premetto che, in questo, sono crociano. Non esistono cesure, tagli, nella storia, che è un continuo fluire, più o meno rapido. Se comunque vuole la mia opinione, le primarie non rompono la lunga attesa. Ricorda “Il deserto dei tartari” di Dino Buzzati? Ci stiamo anche noi consumando nella interminabile attesa, in uno stato di sospensione.
Professore, sia un po’ più preciso e si spieghi chiaramente.
Abbiamo rinunciato alla riforma costituzionale, c’è un Parlamento moribondo e inattivo, che non sa quando verrà messo a morte, un governo legato a esso, regole del gioco incerte e contraddittorie.
“Non si conosce il futuro e non sappiamo quali siano le regole che lo schiuderanno”, dice il professor Cassese, che prosegue: “I principali attori della politica, i partiti, non sono soltanto ‘sfarinati’, ma anche reticenti: non si pronunciano, per non impegnarsi, timorosi di un elettorato ‘disponibile’, quindi fluttuante. Al piano più basso”.
Perché? Ci sono più piani?
Sì, come osservava Calamandrei l’Italia è un Paese a doppio fondo. La politica in alto vagola alla ricerca di regole, obiettivi, programmi. Il “sottogoverno” si muove su altre note, il neocolbertismo, la restaurazione amministrativa, il “robin-hoodismo” (mi consente il neologismo?).
Qui mi pare più chiaro. Ce li spiega?
Neocolbertismo: vuol dire apprestare difese dei confini nazionali, quelli economici, norme “antiscorrerie”, pressioni per la rilocalizzazione in Italia di stabilimenti e posti di lavoro (pare che il ministero dello Sviluppo economico sia ispirato da Trump), tentazioni di salvataggio di Alitalia, quotidiana chiamata in causa della Cassa depositi e prestiti, una specie di nuova Iri.
E la restaurazione amministrativa?
Si era annunciata, al suono di fanfare, una riforma amministrativa. Si finisce con la solita salsa di provvedimenti per il personale. Il bilancio delle realizzazioni è negativo. Un sesquipedale codice della giustizia contabile che erge un monumento ad essa, invece di sviluppare la Corte dei conti come garante dell’efficienza amministrativa. 150 pagine di revisione dei ruoli delle forze di polizia, tutte norme con forza di legge mentre si proclamano semplificazione e delegificazione. Ulteriori poteri all’anticorruzione, con nuovi impedimenti all’amministrazione. “Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni”, titolo di un insieme di norme ridicole e dannose: ridicole perché il precariato amministrativo non è mai stato “superato”; dannose perché quelle norme continuano nella vecchia prassi di immettere in ruolo senza selezionare, contro princìpi di efficienza, dettati costituzionali e pronunce della Corte costituzionale. Bisogna leggere ogni giorno la Gazzetta Ufficiale, non la Gazzetta dello Sport per capire da dove vengono i guasti, mentre ai piani superiori si discetta di sommi sistemi. E non basta.
Perché, ci sono ancora altri piani?
Sìi, quello della grande famiglia delle cosiddette autorità indipendenti, quale piena di slancio, quale troppo timida. Ora, ad esempio, l’Anac accusa le procure e i giudici in generale di aver fallito nella “lotta alla corruzione”, evocando lo spettro di nuove Tangentopoli e candidandosi al ruolo di Robin Hood. L’Autorità garante delle comunicazioni, invece, accerta che Vivendi è fuori legge. Però, invece di dichiarare nulli gli atti illegali, dà cortesemente un anno ai francesi per ripensarci. Se la norma era violata, chi aveva commesso la violazione non doveva essere immediatamente sanzionato?
Ritorniamo ai piani alti, professore, perché in questi labirinti amministrativi la seguo con difficoltà.
Il capitolo che abbiamo lasciato aperto, nella “grande politica”, è quello della diffusione delle idee grilline: vi sono coloro che consigliano di dar ascolto a Grillo e quelli che si lanciano in avanti con proposte sempre più azzardate, da “People’s Party”, per dare l’impressione al popolo di contare di più, promettendo mari e monti. Dovrebbero leggere quello che ha scritto uno specialista di questa materia, Luciano Canfora, in un libro appena uscito su “Il pregiudizio universale” (Laterza): “Neanche l’assemblea popolare, apparentemente ‘onnipotente’ di quella minuscola realtà che fu la ‘città’ antica poté effettivamente esercitare un ‘governo del popolo’, bensì intermittenti momenti di ‘potere popolare’”.
Perché non è possibile, con strumenti informatici, realizzare un governo del popolo?
Facciamo un po’ di conti. Ogni anno il Parlamento produce circa 100 leggi. Se, in media, ogni legge avesse 30 articoli, che vanno approvati uno per uno (sto facendo un calcolo molto ottimistico), i 40 milioni di cittadini che hanno diritto al voto sarebbero chiamati a esprimersi con 8 votazioni al giorno, compresi quelli festivi. E i decreti delegati e i regolamenti? Non dovrebbero essere sottoposti al vaglio popolare? Allora le votazioni quotidiane diventano almeno 20. Vuole stimare quanti avrebbero difficoltà a collegarsi in rete, a causa del “digital divide”? Ci sono, poi, altri problemi.
Quali?
Uno è il divario tra promesse e realtà. Se non ricordo male, il Codice di comportamento dei Cinque stelle per il caso di coinvolgimento in vicende giudiziarie è stato approvato con la partecipazione di poco meno di 41 mila persone (favorevoli il 91 per cento). Se si introducesse una clausola di “recall”, un parlamentare eletto con migliaia o milioni di voti verrebbe “richiamato” con centinaia di voti di iscritti (quelli con i quali ha stipulato il patto). Un altro è il problema della competenza. Questa non si trova tanto facilmente quanto una tessera di partito, come disse De Gasperi in un noto discorso. I grillini sembrano ignorare la proposta di Ackerman e Fishkin di un “Deliberation day”, una procedura che dovrebbe contribuire a colmare la lacuna: per contare di più, bisogna sapere di più. Ma qui si apre un altro capitolo: gli appartenenti al movimento maneggiano idee che non conoscono; nulla sanno infatti della democrazia deliberativa, e delle sue diverse esperienze, sia nazionali, sia globali. Eppure conoscerle porterebbe acqua al loro mulino.
Non ci dà speranze?
No. Spero che Renzi riprenda slancio, che riesca finalmente a imparare dai propri errori, che abbia capito che fare il guascone non serve, che si preoccupi della qualità istituzionale del nostro paese. Auguro ai grillini di trovare il tempo per studiare, perché potrebbero fare proposte meno azzardate e forse utili. E sono felice del modo civile in cui si sta svolgendo l’abbandono del Regno Unito. Pensi: negli Stati Uniti, dopo poco più di un settantennio dall’Unità, i dissidi interni portarono a una guerra, la guerra di secessione. La secessione dall’Unione europea, invece, si sta svolgendo, a sessant’anni dalla fondazione della Comunità, pacificamente. Non c’è da essere soddisfatti?