Giuliano "preferisco di no" Pisapia si decida
Allargare il campo progressista vuol dire guardare al Partito democratico, non a D’Alema
"Io non voglio fare il leader di niente”. “Personalmente mai accetterei di sostenere un governo con Berlusconi”. “Un governo col M5s non potrei sostenerlo”. “Non entrerò in un listone di un partito unico e tantomeno del Pd se non vuole fare un’alleanza”. Per essere un leader che “ha tutte le qualità per aggregare”, come dice Laura Boldrini autocandidata al ticket, Giuliano Pisapia somiglia troppo a Bartleby lo scrivano: preferisco di no.
Per essere uno che vuole giocare con vasti schemi ad allargare il Campo progressista (“io voglio riformare un centrosinistra unito com’era l’Ulivo”) l’ex sindaco arancione di Milano ha finora piantato più che altro paletti e seminato parecchia confusione sull’ubicazione di questo benedetto Campo progressista, che somiglia molto al Campo dei miracoli di Pinocchio. A meno che il suo vero progetto sia semplicemente alternativo: “Se questo non è possibile allora faremo un centrosinistra alternativo fuori dal Pd”.
A Milano gli riuscì l’operazione, un po’ casuale, di tenere insieme Pd e sinistra-sinistra, emarginando l’estrema. Rifare l’Ulivo, se mai fosse possibile, richiederebbe invece una più netta posizione liberal, e più decisione nel sostenere la parte del riformismo vero, e persino a vocazione maggioritaria. Invece dire che è “inaccettabile il veto di Renzi su D’Alema e Bersani”, quando il veto a Renzi lo hanno messo loro, e ipotizzare una convergenza con la pattuglia scissionista, è il contrario di un progetto vincente, “alla milanese”, per una sinistra che non voglia far trionfare Grillo. Anziché di coccolare i suoi narcisistici no, Pisapia dovrebbe decidere, e in fretta, quale progresso vuole. E iniziare con un solo no, ma chiaro: a D’Alema.