L'ultima battaglia dell'Angelino immortale si chiama sbarramento al 3 per cento. “Renzi è inaffidabile”
Oggi Ap potrebbe fare una conferenza stampa di guerra. Domani c’è la direzione nazionale
Roma. Quando Alfano ha riferito loro le parole di Renzi – compreso quel passaggio quasi derisorio sulla Merkel “che, caro Angelino, dovrebbe convincere Berlusconi a candidarvi tutti in un nuovo Partito popolare italiano” – il ministro degli Esteri (e leader) li ha fatti tutti spaventare e arrabbiare, allo stesso tempo. Insomma un successo. E allora, riuniti ieri pomeriggio nella sede del partitino, in via del Governo Vecchio, i ministri e i capigruppo, i dirigenti di Area popolare, hanno rapidamente messo su un’aria determinata e combattiva. “Renzi è un inaffidabile”, ha cominciato Beatrice Lorenzin, il ministro della Salute, guardando negli occhi Alfano e Maurizio Lupi, Fabrizio Cicchitto e il ministro Enrico Costa, Sergio Pizzolante e Dore Misuraca.
“Ma vi ricordate a febbraio, quando Renzi voleva che facessimo cadere Gentiloni per votare a giugno?”, ha detto qualcuno. E Alfano: “Venne da me a dirmi che in cambio potevamo anche scriverla noi la legge elettorale. Gli dissi di no. Ora si vendica”. E infatti adesso la legge elettorale Renzi la vuole fare con lo sbarramento al 5 per cento, che per Alfano vuol dire estinzione. Così la riunione in via del Governo Vecchio si accende, diventa un brulicare tumultuoso, “dobbiamo denunciare l’imbroglio di Renzi e Berlusconi”, dice Pizzolante. “Questa avventura. Questa fregola di votare fregandosene della legge di bilancio. Dobbiamo stanare Mattarella, e anche Gentiloni”. Con Lupi che, assunta l’aria di volpe consumata nell’arte, a un certo punto sussurra: “Voglio vedere se passa liscia questa riforma. In Senato i numeri sono ballerini. Ventotto del Pd non la votano, e senza di noi farla passare è un bel problema”. Oggi Alfano potrebbe fare una conferenza stampa di guerra. Domani c’è la direzione nazionale.
E insomma Alfano vuole vendere cara la pelle, sa bene che i gruppi parlamentari sono collegati tra loro da un dedalo di strade, di passaggi e di sentieri sottomarini, e sa che in tutti i gruppi parlamentari ci sono deputati e senatori che sono certi di non essere rieletti e che dunque non vogliono le elezioni anticipate: una terra di avventure per Angelino il marinaio. E se dall’ottobre del 2013 a oggi Alfano è riuscito a restare ininterrottamente al governo, e nei ruoli più importanti che ci siano, vicepremier, ministro dell’Interno e ministro degli Esteri, è proprio perché da giovane-vecchio democristiano, in questi dedali parlamentari lui ci si sa muovere con agilità, riuscendo sempre a interpretare il principio classico dell’andreottismo politico, cioè che “tirare a campare è meglio che tirare le cuoia”.
Così adesso il pluri-ministro potrebbe accontentarsi di una vaga, gommosa, inafferrabile promessa di Renzi, “voi valete il tre per cento. Io posso candidare alcuni di voi e mi prendo l’1, gli altri li candida Berlusconi, così guadagna il due”. Oppure Alfano può dare battaglia, sfruttare la sua capacità di manovra, rimescolare a piene mani nei corridoi del Palazzo, contando sui suoi ventisei senatori di Area popolare, sui trentuno che nel Pd hanno già detto di essere contrari alla riforma e su tutti quei parlamentari di Forza Italia che le elezioni anticipate non le vogliono, insomma su tutta una maggioranza parallela e sotterranea che fa dire, a Maurizio Gasparri, in un angolo di Palazzo Madama: “Sappiamo che non sarà una passeggiata”. C’è infatti anche il dettaglio, non secondario, della commissione Affari costituzionali. E’ presieduta dall’avvocato Salvatore Torrisi, ex democristiano, siciliano, alfaniano e convinto proporzionalista.
In una situazione di stallo, di difficoltà per Renzi, tra emendamenti e conte millimetriche, Alfano sa di poter giocare, indifferentemente, le sue ultime carte: contribuire ad affossare la riforma, oppure tendere, all’ultimo istante, la mano al segretario del Pd, garantendo i suoi ventisei – a quel punto determinanti – voti in cambio di una nuova soglia di sbarramento, al ribasso, al 3 per cento. “Renzi si sta spingendo sul confine del Mekong, che non è un affluente dell’Arno ma il posto dove in Vietnam gli americani si sono messi nei guai”, dice un amico di Alfano. E storicamente, in Italia, si sa, sono state sempre due le cose da temere: gli scherzi da prete, e le minacce dei democristiani.