Una Ena per l'Italia?
Perché dovremmo imparare dalla Francia di Macron un sistema di promozione che riconosce il merito. Parla il professor Cassese
Professor Cassese, come giudica la Francia di Macron, tra l’elezione presidenziale e quella del Parlamento?
Un misto di rivoluzione e tradizione. I partiti tradizionali sono scomparsi o contano poco, mentre è nato un nuovo movimento, che è riuscito in breve tempo a portare all’Eliseo un nuovo presidente. Dall’altro lato, la struttura di governo, ma principalmente la qualità dei principali collaboratori dei ministri dimostra che Macron si iscrive a pieno titolo nella grande tradizione francese.
Quale?
Quella delle “grandes écoles” e dei “grands corps”. A cominciare da Macron stesso, uscito da uno dei migliori licei parigini, passato per Sciences Po, approdato all’Ena, da qui alla “Inspection des finances”, poi al settore privato, infine alla politica. E’ così che si costruisce una classe dirigente.
E i collaboratori?
Quasi tutti hanno alle loro spalle l’Ena. Formazioni diverse: giuristi, economisti, ingegneri, esperti di formazione. Alta mobilità professionale. Molti contatti con la politica, ma non quella dei partiti, quella della collettività, dei grandi problemi sociali e della cura dell’interesse nazionale. Insomma la Francia di Luigi XIV e di Napoleone, quella auspicata dagli illuministi quando parlavano della “vertu au pouvoir”.
Messe insieme, quindi, una elezione plebiscito e una struttura tecnocratica.
Non molto diversa da quella gaullista, del De Gaulle che firma con Debré padre il decreto istitutivo dell’Ena, nel 1946. Con la differenza che questa volta il paese è governato dal centro.
Ma queste esperienze positive non sono replicabili in Italia?
Bisogna tener conto che in Francia hanno un lungo passato. Lì grandi scuole e grandi corpi esistevano prima. Le burocrazie tradizionali hanno continuato a esistere, mentre si affiancavano ad esse formule nuove, quello che gli inglesi chiamano “fast stream”, percorsi veloci per i più arditi e i meglio preparati, in modo da far accedere rapidamente ai vertici (ma non dovunque) i migliori. In questo modo, in Francia si è riusciti a coniugare tradizione e anzianità con innovazione e premi per i più giovani.
E l’Italia?
In Italia abbiamo sempre guardato con ammirazione all’esempio francese, ma senza capirlo. Non abbiamo capito che l’Ena non è altro che una tappa intermedia di un percorso accelerato, di cui fanno parte selezione, concorrenza, competenza, merito: esso ha origine al liceo e non si conclude all’Ena. Poi, l’Ena è parte di un sistema di promozione che riconosce al merito il diritto di vincere sulla anzianità e lo status quo, tanto che qualche anno fa si diceva scherzando che l’Ena non è un “corso”, ma un “concorso”.
Ma ora che lo sappiamo, non sarebbe possibile di adottare anche in Italia un sistema analogo?
Bisognerebbe che si organizzassero in sistema, con collegamenti funzionali, i luoghi privilegiati di istruzione, i meccanismi di selezione dei funzionari pubblici, i percorsi limitati ma veloci di accesso al vertice. Senza l’ambizione di cambiare tutto, ma con il proposito di agire su un numero limitato di posti, non più del 5 o 10 per cento, in modo da non modificare radicalmente l’assetto complessivo di quello che chiamiamo dirigenza pubblica, ma da instillarvi lentamente e con continuità sangue nuovo. Tentare le grandi riforme vuol dire destinarle al fallimento. Una “cura omeopatica” è possibile.
E i rapporti dei grandi apparati con la politica?
La politica avrebbe un rapporto duplice con un disegno di questo tipo. Esso conviene, perché la grande assente del mondo politico è la competenza, e in questo modo la politica avrebbe a propria disposizione dei competenti. D’altra parte, esso impone alla politica anche un costo, perché ministri, presidenti di regione, sindaci dovrebbero fare i conti con tecnici, dovrebbero abituarsi ad ascoltarli con regolarità, dovrebbero anche accettare di imparare da loro. Ma il bilancio sarebbe complessivamente positivo.
Equilibri istituzionali