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Ecco come Renzi vuole rimettere il Pd "En Marche"

Redazione

Dopo il crollo alle comunali la nuova offensiva del segretario è pronta. Ma l'impresa è ambiziosa e a rischio e suscita la perplessità anche degli stessi renziani 

Al Pd da ieri sera studiano i numeri e i flussi e valutano gli errori. La linea ufficiale è quella che ha dato Matteo Renzi: minimizzare e sottolineare che comunque ancora adesso la maggior parte dei comuni in cui si è votato è guidata da esponenti di centrosinistra. Ma tutti, a cominciare dal leader del partito, sanno che questo non basta. Il timore è che passi un nuovo storytelling, quello secondo cui i grillini possono vincere, persino un redivivo Silvio Berlusconi sia in grado di farlo, ma il Pd no, il Pd dovunque va perde. Ma non è solo un problema di comunicazione, di questo Renzi è ben conscio. Il fatto è che il partito non sembra più avere una sua fisionomia ben precisa, e dopo la sconfitta del referendum del 4 dicembre non basta più la figura del leader per sopperire queste carenze.

  

Dunque il segretario del Pd si vede costretto a fare ciò che più volte ha annunciato e però poi non ha mai fatto, cioè mettere mano al partito. Il che, naturalmente, non significa occuparsi di organigrammi o di circoli. O, quanto meno, non significa occuparsi solo di questo. Renzi ha spiegato ai parlamentari e ai dirigenti a lui più vicini che occorre assolutamente tornare allo spirito originario. Secondo lui il Pd ha dato l'impressione di essere troppo preso da tatticismi politici. Anche se, nonostante il calo, il Partito democratico rimane pur sempre una grande forza politica. In pratica, Renzi vuole rovesciare l'esperimento fatto da Macron. E trasformare il Pd nel suo personale "En marche". Venerdì e sabato, a Milano, all'assemblea dei circoli del partito, il segretario lancerà questa sua nuova offensiva.

   

Renzi sa che l'esperimento è difficile, dal momento che nel Pd c'è un'agguerrita minoranza che vuole bloccarlo, per questo ha già convocato per il 10 luglio una direzione. L'idea di andare avanti con una parte del Pd che ogni giorno gli mette i bastoni tra le ruote non è immaginabile. Perciò, visto che alle elezioni mancano mesi e mesi, tanto vale mettere nel conto anche altre fuoriuscite. A chi non dovesse andare bene il progetto del Renzi tornato rottamatore non verranno fatti ponti d'oro per restare.
Niente più estenuanti mediazioni per sottoscrivere accordi interni che poi vengono contraddetti nel giro di una manciata di giorni.

  

Certo, l'impresa è ambiziosa e a rischio. E suscita la perplessità anche degli stessi renziani, che non sono più gli uomini nuovi approdati in Parlamento e al governo, ma nel frattempo sono diventati ministri, sottosegretari o presidenti di Commissione, più restii a rottamare. Sarà anche contro le loro – pur silenziose perplessità – che Renzi dovrà combattere. Ciò contro cui non combatterà più è invece la pulsione a ricreare esperimenti tipo Unione o Ulivo. Quelli li ha seppelliti definitivamente domenica notte. Aveva e ha torto Andrea Orlando e aveva torto anche Prodi: con quelle coalizioni di centrosinistra che vogliono tenere insieme tutto non si va da nessuna parte. Di questo Renzi è convinto. Definitivamente.

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