LaPresse/Alvise Busetto

Perché alla fine proprio Prodi potrebbe tornare utile a Matteo Renzi

Redazione

Prestare attenzione alle sue proposte sarebbe utile al Pd, sia per il merito che per il messaggio ai nostalgici dell’ulivismo: ritroviamoci sul futuro, non sulle memorie della coalizione 

Al netto dell’incidente sulla tenda di Prodi, da spostare o meno, è impossibile dar torto a Matteo Renzi quando dice che non vuole più sentir parlare, almeno per qualche mese, di coalizioni, ulivi, leggi elettorali e pisapie. E’ bastato che gli anni Novanta e Duemila calassero tra rievocazioni e riesumazioni sul Pd del 2017, perché l’aria diventasse se possibile perfino più inquinata di quanto fosse dopo la sconfitta del 4 dicembre. Chi a quei tempi c’era, non vuole sicuramente tornarci. Chi non c’era, capisce a stento di che cosa si parli ma capisce benissimo che non si sta parlando dell’Italia di oggi e di domani.

    

A cominciare da Renzi, tutti sanno che la geometria delle alleanze tornerà presto d’attualità, ci sono meccanismi della politica ai quali non si sfugge. Ma da qui almeno fino a fine anno, l’urgenza per il Pd è tutt’altra. Ci vorrebbe un miracolo, ma per un po’ il segretario dovrebbe staccare gli occhi dai social, dai sondaggi e dai tg; non farsi trascinare dall’ansia di essere sempre al centro della scena, né farsi coinvolgere dalle polemiche che da ogni parte e su ogni tema si scateneranno (compreso Woodcock), con il risultato di accentuare davanti all’opinione pubblica il carattere divisivo e controverso della sua leadership.

   

La verità bruta, che si avverte a pelle e che viene confermata dalle amministrative perfino nella “assenza” del segretario, è che Renzi non ha affatto recuperato il feeling con gli italiani. Le primarie sono state illusorie: importanti come conferma di un pieno controllo politico sul partito e sulla comunità di simpatizzanti, irrilevanti e scontate agli occhi di tutti gli altri. Né hanno scoraggiato, come ingenuamente si sperava, i molti che nell’establishment non avranno pace finché la caccia al cinghiale non sarà finita con la cattura della preda.

   

Renzi li ha aiutati. La magnifica ossessione di tornare a palazzo Chigi lo ha spinto nella politica e gli ha fatto dimenticare le politiche. Di lui per settimane s’è detto e scritto solo come ingegnere di leggi elettorali e inciuci grancoalizionisti, o come capo della lotta partigiana antigrillina. Quanto alle “cose da fare”, è stato tutto un tornare ai fatidici mille giorni, legando se stesso, il Pd e il governo Gentiloni alla continua riproposizione della felice stagione delle riforme, ingiustamente interrotta dal No del 4 dicembre.

   

Ora, qualsiasi giudizio si dia dei mille giorni del governo Renzi, essi fanno parte irrimediabilmente e definitivamente del passato. Per quanto sia difficile, l’ex premier dovrebbe fare su se stesso la medesima impietosa operazione fatta da lui sui propri predecessori, superati e dimenticati con agilità qualunque fosse il loro risultato di governo. Perché è così che funziona, anche se si è stati dei superman a palazzo Chigi, a prescindere da come siano stati usati i superpoteri.

   

Ora il governo si chiama Paolo Gentiloni, onori e oneri sono suoi. I renziani dovrebbero impegnarsi a smentire l’impressione unanime di un premier costretto a limitarsi in parole e opere per non indispettire e insospettire l’amico che si considera l’unico legittimo pretendente. E Renzi – esattamente come ha promesso in questi ultimi due giorni – dovrebbe gettarsi con tutta la sua grande energia su qualcos’altro, dimostrando che per essere capace di visioni, disegni e proposte innovative non ha bisogno dell’adrenalina continua di Palazzo Chigi, delle pizze notturne con Filippo Sensi, delle telefonate a Merkel, del furioso turnover dei consulenti.

   

Qui, paradossalmente, potrebbe tornargli utile Romano Prodi. Sì, proprio lui, quello offeso della tenda. Dopo avergli tolto non molto delicatamente il tubetto di Vinavil dalle mani, Renzi potrebbe ora invece gratificarlo con un’attenzione alle sue proposte che sarebbe utile al Pd, sia per il merito che per il messaggio ai nostalgici dell’ulivismo: ritroviamoci sul futuro, non sulle memorie della coalizione.

   

Per esempio nell’ultimo libro del Professore tornano due suoi antichi cavalli di battaglia, che Renzi potrebbe articolare meglio rivolgendosi proprio al pubblico giovanile che si sta allontanando deluso: il varo di un grande servizio civile obbligatorio retribuito, che impieghi i ragazzi nella cura, manutenzione e recupero del territorio; e l’istituzione di scuole tecniche superiori specializzate, con incentivi sia per le iscrizioni che nei percorsi di avvio al lavoro. Certo, non è roba di uso e consumo rapido, come i 500 euro di bonus ai diciottenni, ma forse i giovani sono disposti ad apprezzare chi sappia guardare un po’ più lontano.

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