Il populismo della decrescita
Indovina chi mette sabbia nell’ingranaggio del libero commercio?
Dicevamo che un conto sono le elezioni locali e un altro sono le decisioni di politica internazionale. Un conto sono le coalizioni per amministrare i comuni e un altro sono le alleanze per governare il paese. Due giorni dopo i risultati dei ballottaggi delle amministrative, la conferma arriva dalla commissione Affari esteri del Senato, dove ieri si è votato sul Ceta, l’accordo economico e commerciale globale tra Canada e Unione europea. Il trattato di libero scambio ha ricevuto il sostegno del Pd, dei centristi (Ap-CpE-Ncd) e di Forza Italia, mentre hanno votato contro M5s, Lega, Gal e Sinistra italiana (Mdp invece, come già accaduto sui voucher, si è dato assente). Il Ceta è un accordo per abbattere le barriere commerciali, che farà incrementare l’interscambio con il Canada di 12 miliardi di euro e permetterà a paesi trasformatori come l’Italia di incrementare l’export. Lo schieramento protezionista (à la Donald Trump) anti Ceta vede uniti dalla stessa parte della barricata la Lega di Matteo Salvini e la Cgil di Susanna Camusso, il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo e la Sinistra italiana di Stefano Fassina, Slow food di Carlin Petrini, i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e Rifondazione comunista. Dall’altro lato ci sono il Pd di Matteo Renzi e la Forza Italia di Silvio Berlusconi insieme alla galassia centrista, cattolica e liberale. Non è la prima volta che la politica si divide lungo questo asse. Il voto sul Ceta, insieme a questioni tutt’altro che marginali come la politica estera, il lavoro, il futuro dell’euro e dell’Unione europea, mostra come il Parlamento e la società italiana siano divisi tra un fronte riformista e liberale e uno sovranista e no-global. Società aperta contro società chiusa.