LaPresse/Fabio Ferrari

Rep. scopre che la riforma Gelmini era buona

Redazione

Meglio tardi che mai. L’Università è diventata un posto migliore

Faceva impressione, per chi ricorda, leggere ieri Repubblica dar conto di un recentissimo studio secondo il quale la riforma Gelmini ha ridotto la piaga del nepotismo nelle università italiane. E fa impressione a chiunque abbia un po’ di memoria, chi ricorda cosa – e quanto – il giornale allora diretto da Ezio Mauro scriveva dell’ex ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, esponente di un governo, quello di Berlusconi, tra il 2008 e il 2011, nei confronti del quale era evidentemente vietato l’uso delle sfumature. Era tutto un disastro. E il ministro dell’Istruzione, per Repubblica era l’incarnazione stessa di una filosofia liberista e autoritaria, approssimativa e pasticciona. Ebbene sono passati alcuni anni e adesso, alla distanza, scopriamo, e dalle stesse pagine di Repubblica che cita uno studio di Stefano Allesina e Jacopo Grilli dell’università di Chicago dal titolo “Nepotismo nei sistemi accademici”, quali sono stati invece gli effetti della riforma Gelmini sull’università: “La riforma è riuscita davvero ad abbassare le aliquote dei dipartimenti passati da padre in figlio negli atenei d’Italia”.

   

E certo la riforma Gelmini, come tutte le riforme, è perfettibile. Eppure è a questo vituperatissimo intervento legislativo che si deve la novità per noi sconvolgente che oggi in Italia, come da tempo avviene nel resto del mondo, è possibile avere un capo dipartimento di quarant’anni. E’ stata la riforma Gelmini a introdurre  l’abilitazione scientifica nazionale  per l’accesso alla cattedra. Ed è solo grazie a questo principio che oggi esistono criteri oggettivi per la valutazione del merito. Un meccanismo che sta mettendo fine alle baronie universitarie.

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