Salvini tra Cernobbio e Pontida
Il populismo è spuntato e il nord vuole l’Europa. Due problemi per la Lega
Secondo la giuria di qualità è andato meglio di Di Maio, a Cernobbio. Non che fosse difficile. Matteo Salvini si era preparato, aveva detto. In riva al lago ha spiegato che la Lega, dopo tanto strillare, non proporrà un referendum per uscire dall’euro, semplicemente perché si è accorto che non si può (“non propongo cose che non si possono fare”). Apprezza, più o meno, il lavoro di Minniti, si mostra disponibile nel rapporto con Berlusconi, è cauto sulla legge elettorale. Tanto da incassare persino gli (incauti) apprezzamenti di Mario Monti. Un Salvini che non depone il populismo, ma forse si sta accorgendo in extremis che in Europa funzionano meglio i realismi. Cernobbio o non Cernobbio, la sua Lega (che pure lo fa gongolare nei sondaggi: “E’ il primo partito del centrodestra. E nel gradimento io vengo dopo Gentiloni”) sente il terreno anti europeo franare sotto i piedi. Fra due settimane, domenica 17, ci sarà poi Pontida. La Pontida che Salvini vuole “della svolta”, non più solo il nord ma un partito nazionale. E il progetto da sempre accarezzato di cambiare lo statuto, che ancora recita “per l’Indipendenza della Padania” e “il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica federale indipendente e sovrana” è ancora rimandato. Salvini deve fare i conti con l’unica ragione sociale che ha a disposizione, e puntare sui referendum autonomisti di Zaia e Maroni. E, a Cernobbio, non ha dimenticato il core business storico della Lega, il suo essere sindacato territoriale delle pmi. Forse è ora anche di capire che proprio quel mondo che vuole rappresentare, e che sta provando a ripartire, ha bisogno di Europa, di euro, di banche: altrimenti rischia che gli frani sotto i piedi anche la nuova questione settentrionale.