La stabilità non la fa la legge elettorale
L’ingovernabilità riguarda l’identità dei partiti, non i meccanismi di voto
Si cerca una soluzione al problema costituito dalle due leggi elettorali vigenti, scritte dalla Consulta e non dal Parlamento. Lo scopo è lodevole, anche se naturalmente pensare che i rischi di ingovernabilità si risolvano con il meccanismo di voto è un’illusione. Il problema è la friabilità delle coalizioni storiche e il pregiudizio contrario a grandi coalizioni come soluzione in caso di necessità. La Spagna è stata un anno e mezzo senza governo eletto finché i socialisti non hanno deciso, per evitare il terzo ricorso alle urne in un anno, di dare un’astensione tecnica al governo del Partido popular, ma poi i dirigenti che lo avevano deciso sono stati messi in minoranza.
Nel merito il meccanismo proposto dal Pd consiste in un misto tra sistema uninominale, per circa un terzo dei seggi, e proporzionale per gli altri. Due sistemi elettorali diversi appiccicati insieme non sembrano destinati a funzionare, specialmente in assenza di un sistema solidamente bipolare. Sul piano aritmetico resta improbabile che il premio maggioritario implicito nella parte uninominale sia così rilevante da superare la tripartizione dei seggi del proporzionale. Oltre a questo problema, che comunque c’è anche con i meccanismi in vigore, va esaminata la condizione in cui si svolgerà la campagna elettorale tra partiti che debbono competere di più con i più vicini com’è ovvio nella battaglia per ottenere i voti di lista sul proporzionale, e contemporaneamente sostenere insieme i candidati di coalizione che si presentano per l’uninominale. Non è facile dire se questo meccanismo sia, alla fine migliore dell’altro, quel che bisogna considerare è che chi si assumerà l’onere di approvarlo dovrà fronteggiare l’inevitabile propaganda contro la “legge truffa”, magari sostenuta dagli stessi commentatori che fino a oggi denunciavano l’intollerabile inerzia di fronte all’esigenza di cambiare la legge elettorale.