L'incostituzionalità preventiva
La strada minata delle leggi elettorali e la politica che rinuncia a decidere
Quando nel chiacchiericcio politico giornalistico rispunta la sagoma dell’avvocato Felice Carlo Besostri, in passato protagonista dei ricorsi che portarono all’abrogazione parziale del Porcellum e dell’Italicum, si capisce che il clima sulla legge elettorale si sta scaldando e il gioco comincia a farsi duro. Sporco no, è sempre tutto in punta di penna e carte da bollo. Ma duro. E con la tendenza, sempre più marcata, a forzare i dati di fatto e le procedure. E’ il lavoro dei costituzionalisti, e va da sé che qualsiasi legge, soprattutto quelle delicate che regolano il voto, debbano avere tutti crismi. Ma nell’ultimo periodo, da dopo il Porcellum diciamo, il tema del vaglio di costituzionalità si è trasformato in una sorta di arma o minaccia preventiva.
Un partito o una maggioranza intavolano un percorso o una trattativa (cosa legittima) e anziché trovare condivisione di un percorso, o controparti, o persino legittimi avversari della propria proposta si trovano la strada minata da messaggi cifrati o espliciti che indicano la via del ricorso alla Corte Costituzionale, ancor prima che una legge esista, sia formulata, sia votata. Sta già avvenendo anche per il cosiddetto rosatellum bis. E la strada è spesso minata di cavilli contraddittori. Come sull’ipotesi delle liste bloccate, avversate da alcuni, immemori del fatto che le prevedesse la legge Mattarella. O la questione del voto unico – per il candidato uninominale e il partito – ipotizzato dal rosatellum-bis. E tutto un sottogenere di (possibili) trappole di incostituzionalità a seconda che si prevedano liste collegate o non le si prevedano. Il retropensiero è che basterà affidarsi alla Corte che, in un modo o nell’altro, boccerà la legge sgradita. I costituzionalisti devono fare il loro lavoro. Ma sarebbe il caso che, prima, la politica facesse con serietà il suo.