Graziano Delrio (foto LaPresse)

Perché la cura dimagrante di Delrio è un regalo a chi si oppone allo ius soli

Redazione

Il ministro si unisce allo sciopero della fame "a staffetta" per chiedere l'adozione della legge. Una testardaggine controproducente per chi chiede un vero miglioramento della legislazione attuale

La legge sullo jus soli è diventata una bandierina ideologica, che forse giova di più agli oppositori che ai sostenitori. Così lo spazio per una mediazione che corregga gli errori del testo, soprattutto in relazione agli eccessi di automatismo, si restringono. E’ un peccato che a questa deriva si accodi anche il ministro Graziano Delrio, che aderisce a un simbolico sciopero della fame a staffetta, che essendo di un solo giorno a testa sembra più che altro un innocuo inizio di cura dimagrante. Che il principio sia accettabile non lo nega nessuno, ma in realtà quel principio esiste già nella legislazione. Al compimento del diciottesimo anno di età gli stranieri residenti in Italia dalla nascita hanno il diritto di chiedere la cittadinanza, e ogni anno ne vengono concesse circa 50 mila. Si può migliorare questa normativa, ma seguendo un percorso meno semplificatorio di quello previsto dalla legge in discussione. Lo dice anche il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi italiani: “Ci vuole un’opera di accoglienza, integrazione e accompagnamento; poi naturalmente si può arrivare anche al diritto di cittadinanza”, tutto il contrario di un automatismo cieco. Il concetto viene ribadito con l’affermazione netta che “non basta la nascita”. Anche l’ambiente culturale cattolico, il più favorevole all’integrazione degli immigrati, pensa che “c’è ancora del cammino da fare”.

 

Che senso ha, allora, drammatizzare la contesa utilizzando, seppure in modo talmente flebile da risultare inavvertibile, forme di lotta radicali? Se, come appare evidente, non c’è tempo in questa legislatura per apportare le correzioni necessarie alla legge, e non c’è una maggioranza per approvarla così com’è, sarebbe meglio concentrarsi sulle ragioni di fondo e aprire un confronto sulle forme applicative, per poi arrivare a un esito nella prossima legislatura. Delrio lo sa benissimo, quindi la sua scelta non ha un senso politico, se non quello di un avvicinamento tattico all’area a sinistra del Pd, che riguarda solo tattiche elettorali e propagandistiche. Bisogna domandarsi se queste scelte di drammatizzazione, che tengono aperto un problema di questo tipo, servono allo scopo o sono controproducenti. L’impressione è che insistere ora ha l’effetto di galvanizzare gli oppositori e di deludere i sostenitori, il che renderà ancora più difficile riprendere questa tematica dopo le elezioni.

 

Il confine tra coerenza e testardaggine sta proprio qui: chi è coerente tiene vivo un obiettivo cercando di realizzarlo nei tempi possibili a allargando il consenso; chi è testardo rifiuta di prendere atto delle condizioni reali solo per affermare la propria volontà anche al prezzo di renderne più difficile la realizzazione. Delrio ha sempre dato prova di essere una persona tenace e coerente, di sapere misurare gli obiettivi con il metro della loro effettiva praticabilità. Anche per questo lo scarto improvviso di ieri sembra dettato da ragioni difficili da comprendere e che quindi spingono a dietrologie fantasiose, le stesse che furono evocate quando il ministro espresse un mezzo dissenso con la politica del suo collega Marco Minniti sulle questioni migratorie. Le dietrologie spesso sono solo fumo senza arrosto, ma è anche vero che per due punti passa una retta sola.

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