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I partiti e quella linea che divide un'elezione inutile da una catastrofe

Redazione

Le prossime politiche sono un evento sopravvalutato da chi le commenta e sottovalutato dagli italiani

L’impressione è che le prossime elezioni politiche siano un evento largamente sopravvalutato, almeno da chi le commenta. Mentre siano considerate un accidente minore non solo, com’è noto, dagli italiani che saranno chiamati a votare ma soprattutto – e qui siamo a un insolito paradosso – dagli italiani che dovrebbero farsi votare, cioè dai politici. Viste da questa angolatura, le vicende di centrosinistra e centrodestra risultano più comprensibili, o meglio diversamente comprensibili. Bisogna accettare la premessa che nessuno nei Palazzi considera il voto di marzo come un passaggio realmente decisivo, ma al massimo come il primo tempo della partita, nel quale notoriamente è suicida spendere tutte le carte e tutte le energie.

 

E’ giusto che sia Pd che Forza Italia lancino il messaggio della vittoria possibile: fa parte delle regole del gioco, i voti sono tutti utili, vanno conquistati anche per poter mantenere in piedi costose macchine partitiche, e poi non si sa mai dovesse veramente realizzarsi il miracolo. Ed è giusto che, di conseguenza, si conformino al sistema elettorale cercando di allestire coalizioni più o meno probabili. Ma senza angosce, senza drammi se non quelli previsti dalla recita politica: “Non facciamo vincere la destra”, “Sbarriamo ‪la strada ai cinque stelle”, sono slogan necessari nella consapevolezza però che la destra potrebbe arrivare prima ma comunque quasi sicuramente non vincere, e che i cinque stelle la strada se la sbarrano volentieri da soli.

 

Di qui la scarsissima emozione che circonda un evento che in altri tempi e altri contesti avrebbe avuto tinte epiche: l’esplorazione di Piero Fassino alla ricerca della Grande Mediazione. Se ne uscirà con poco o nulla, Pd e Mdp si scambieranno recriminazioni sanguinose, ma infine tutti pensano che il danno del mancato accordo sarebbe minimo. Perché accettare rinunce e ai compromessi per trovare un’intesa oggi, in vista di elezioni quasi sicuramente inutili, quando mantenendosi integri, compatti e con identità incorrotta (ancorché del tutto artificiale, ma questo è un altro discorso) ci si potrà presentare meglio al secondo decisivo tempo della partita?

 

Il discorso, speculare e rovesciato, vale anche per il centrodestra. Dove nessuno è così folle da pensare a un’Italia governata in tandem da Berlusconi e Salvini, però risulta comodo approfittare dell’onda favorevole e di elettori mai troppo schizzinosi, mettersi tutti insieme, portare a casa un risultato parziale ma positivo e giocarsi poi ognuno per conto proprio il secondo tempo da posizioni di forza migliori delle attuali. Andare alle elezioni di marzo con questo approccio aiuta a sdrammatizzare il presente, però chiaramente nasconde alcuni pericoli micidiali. Per qualcuno in particolare. Matteo Renzi, per esempio.

 

Il cento per cento di Mdp e il novanta per cento del Pd pensano che le elezioni di marzo serviranno quasi esclusivamente a togliere Matteo Renzi dal campo, fuoriclasse sostituito allo scadere del primo tempo per manifesta bollitura. E certo nessuno degli esiti attualmente considerati probabili sarebbe compatibile con la sua permanenza al centro della scena: un Pd con percentuali “alla Bersani” e gruppi parlamentari decimati, D’Alema che torna in Parlamento, un governo a guida tecnica o di larga coalizione (ovvero le due formule che Renzi ha sempre assimilato al male assoluto).

 

Elezioni inutili che per decidere chi vince, dunque, ma utilissime per decidere l’unico che le perderebbe. Perfettamente consapevole, Renzi reagisce nell’unica modalità che conosce e che gli è consona: dare tutto, treno, campagna personale, sopravvalutazione del proprio potenziale (“porterò dieci punti al Pd in campagna elettorale”, va dicendo). Non gli mancano né energia né sprezzo del pericolo. Fosse più accorto (ma non sarebbe Renzi), dovrebbe spendersi in prima persona (non per delegato Fassino) nella costruzione di una coalizione vera che magari lo ridimensionerebbe ora come leader ma lo terrebbe vivo per il dopo, ancorché stretto fra compatibilità ed equilibri che gli risultano insopportabili.

 

Rispetto a questa inerzia elettorale possono intervenire variabili che nessuno può valutare. Una su tutte. Se la convinzione della relativa inutilità delle elezioni di marzo si trasferisse dai palazzi della politica agli elettori (che già tendono a ritenere inutili “tutte” le elezioni), la spinta all’astensionismo diventerebbe inarrestabile. Sicuramente colpirebbe duro a sinistra, considerata a torto o a ragione la principale responsabile dello stallo. E siccome tutti gli analisti segnalano che ormai gli unici che possono contare su un elettorato davvero fidelizzato sono i Cinque stelle, ecco che lo stallo potrebbe smettere di essere tale. E le elezioni, da inutili che sono ora, potrebbero trasformarsi in catastrofiche.