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L'Europa mette i sovranisti in mutande

Claudio Cerasa

I sondaggi si seguono o si cambiano? Il bollettino Bce, il discorso di Gentiloni e il tabù della campagna elettorale. Tre indizi ci aiutano a capire perché contro l’inconsistenza populista è urgente scommettere subito sul patriottismo europeo

La fine della legislatura, la salute dell'Italia, il percorso dell'Europa, le elezioni a un passo da noi. E poi? Proviamo a dire le cose come stanno, cercando di mettere insieme tre notizie importanti finite ieri sul taccuino: il buon discorso di fine anno di Paolo Gentiloni, il galvanizzante bollettino della Bce e un sondaggio sulle paure degli italiani pubblicato ieri dal World Economic Forum.

 

Che cosa c’entrano queste tre notizie l’una con l’altra? C’entrano se proviamo a mettere a fuoco quella che dovrebbe essere la parola chiave dei prossimi settanta giorni d’Italia, almeno fino al prossimo 4 marzo, giorno in cui si andrà alle elezioni. Una parola che ieri è finita cinque volte tra le frasi del presidente del Consiglio: orgoglio.

 

 

La questione, se ci pensate bene, in fondo è fin troppo semplice. In una campagna elettorale dominata finora dai fake problemi dell’Italia (dall’emergenza Etruria, all’emergenza immigrazione, dall’emergenza sconti sulle dentiere, all’emergenza Iva sul cibo dei cani) il grande obiettivo delle forze che ambiscono a guidare il paese nella prossima legislatura – e tra queste forze tendiamo a essere diffidenti dal prendere in considerazione partiti che sognano di traghettare l’Italia fuori dall’euro senza essere in grado neppure di tenere in vita un albero di Natale – dovrebbe essere quello di riportare la discussione politica su un binario non diciamo del buonsenso ma quantomeno della realtà. E rispettare il principio di realtà oggi significa rendersi conto in fretta che l’unico modo per mettere a nudo l’inconsistenza dell’offerta populista, sovranista, nazionalista, qualunquista e antisistema è impegnarsi per raggiungere un obiettivo chiaro e rivoluzionario. Ovverosia: trasformare l’Europa sempre più in un sogno e sempre meno in un incubo e riconoscere senza girarci intorno che l’Italia può continuare a portare avanti il suo percorso di crescita (nel 2012, ha ricordato con orgoglio ieri Paolo Gentiloni, la crescita italiana era di 1,9 punti in meno rispetto alla media dell’Euro Zona, oggi siamo ancora sotto la media ma solo dello 0,7 per cento) solo se continuerà a restare in scia alla locomotiva dell’Europa.

 

Da questo punto di vista, prima di arrivare al discorso di Paolo Gentiloni, i dati che arrivano dal bollettino della Bce sono incredibili. Nel terzo trimestre del 2017 in Europa l’occupazione è aumentata ancora (dello 0,4 per cento sul periodo precedente) portando l’incremento annuo all’1,7 per cento. Lo stato dell’occupazione si trova a un livello più alto dell’1,2 per cento rispetto al massimo pre-crisi registrato nel primo trimestre del 2008. A ottobre 2017 il tasso di disoccupazione nell’area dell’euro era pari all’8,8 per cento, ovvero al livello più basso osservato da gennaio 2009. Le proiezioni macroeconomiche per l’area dell’euro formulate a settembre dalla Bce prevedevano una crescita del pil in termini reali del 2,2 per cento nel 2017, del 1,8 per cento nel 2018 e del 1,7 per cento nel 2019, mentre oggi gli esperti dell’Eurosistema “prevedono una crescita annua del Pil pari al 2,4 per cento nel 2017, al 2,3 per cento nel 2018, all’1,9 per cento nel 2019 e all’1,7 per cento nel 2020”. Le migliori condizioni del mercato del lavoro, i tassi di interesse bassi e le condizioni di finanziamento molto favorevoli, scrive ancora la Bce, sostengono l’espansione dei consumi privati e rispetto al 2008 in tutta Europa oggi è in corso una piccola rivoluzione negli equilibri delle famiglie: “nel 2008 mentre l’indebitamento delle famiglie saliva gli investimenti in edilizia scendevano, a partire dal 2013 invece questa tendenza si è invertita e si è registrata una ripresa degli investimenti accompagnata da un ridimensionamento dell’indebitamento delle famiglie”.

 

L’Europa va come un treno, il mix di libertà individuale, di crescita economica e di società aperta che si trova nel nostro continente, in questo momento, non si trova in molte altre parti del mondo. Eppure nel nostro paese sventolare la bandiera europea è ancora un tabù e non c’è nessun partito che ha scelto di scommettere con decisione sulle dodici stelle dell’Unione europea per mettere a nudo l’inconsistenza e l’incompetenza della proposta populista. Perché? La ragione, forse, la si trova in un sondaggio pubblicato ieri sul sito del World Economic Forum e in un altro pubblicato qualche giorno fa sul sito del Pew Research Center.

 

 

Il primo sondaggio ci dice che l’Italia in Europa ha il livello più basso di “agreement” relativamente ai benefici portati ai cittadini dall’Unione europea (solo il 39 per cento degli elettori è convinto che l’Europa abbia aiutato in questi anni l’Italia), il secondo sondaggio ci dice invece che tra la primavera del 2016 e la primavera del 2017 le convulsioni del Regno Unito nel post Brexit hanno avuto l’effetto di far aumentare l’“approval rating” nei confronti dell’Europa in tutti i grandi paesi d’Europa. In Germania l’amore per l’Europa è passato dal 50 per cento al 68, in Svezia dal 54 al 67, in Olanda dal 51 al 64, in Spagna dal 47 al 62, in Francia dal 38 al 56, nel Regno Unito da 44 al 54. Ovunque così tranne in un paese e avete capito ovviamente qual è: l’Italia, passata dal 58 al 57 per cento.

 

Tutta questa carrellata di numeri per dire cosa? Per dire che mai come in questa fase politica chi vuole creare un’alternativa al qualunquismo sovranista dovrebbe forse avere il coraggio di pensare un po’ meno a ciò che dicono i sondaggi e un po’ più a ciò che dice la realtà. Naturalmente, la lagna rissosa dei talk show ha contribuito a far diventare un incubo quello che poteva essere un sogno e ha contribuito a far diventare dei problemi irrisolvibili dei problemi risolvibili (l’Europa va come un treno, e cresce da quindici dicasi quindici trimestri consecutivi, ma è percepita ancora più come un problema che come un’opportunità; l’immigrazione è finalmente governata, dal primo gennaio 2016 al 27 dicembre 2017 in Italia sono sbarcati 180.380 migranti mentre nello stesso periodo di quest’anno i migranti arrivati sono stati 118.928, il che significa un terzo di meno, ma nonostante questo la paura dell’immigrazione in Italia è in continua crescita e non bada al principio di realtà).

 

Tutto questo è chiaro ma il punto è soprattutto un’altro: finora non c’è nessun politico che ha trovato le parole giuste per trasformare le dodici stelle della bandiera europea nel simbolo sincero di un nuovo orgoglio nazionale. Per questo ma non solo per questo serve con urgenza un qualche leader con gli attributi che abbia il coraggio di andare in piazza nei prossimi 66 giorni di campagna elettorale suonando l’Inno alla gioia e facendo propria l’idea messa in campo a settembre da Emmanuel Macron tra gli studenti della Sorbona: non esistono soluzioni locali a problemi transnazionali, non esiste una crescita nazionale senza una crescita europea, non esiste una forma più efficace di sopprimere il protezionismo se non quella della protezione europea.

 

Penso – ha detto ieri Paolo Gentiloni nella conferenza di fine anno e poche ore prima che il presidente della Repubblica sciogliesse le Camere – che ci sia un interesse generale ad avere una campagna elettorale che limiti per quanto possibile sia la diffusione di paure, la promozione di illusioni, il dilettantismo. Sono rischi che abbiamo di fronte. Più la campagna elettorale sarà lontana dalla facile vendita di paure e da dilettanti allo sbaraglio, meglio sarà per il paese”. Per farlo esiste un solo modo: mettere i mutande i populisti scommettendo sul patriottismo europeo. In fondo, come insegna Macron, di fronte ai sondaggi ci sono due strade: si possono seguire o si possono cambiare. Vale per tutto ma vale soprattutto per quelle dodici stelle su sfondo blu.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.