Sergio Mattarella e Paolo Gentiloni (foto LaPresse)

Fine della legislatura: è stato un successo

Redazione

Stabilità e crescita per il lavoro. Il referendum? Ha sbagliato Renzi

Professor Cassese, è l’inizio di un anno nuovo, finisce l’anno vecchio e finisce anche la legislatura. Vogliamo fare un bilancio?

 

Non s’aspetti che mi metta anche io a contare le leggi, i provvedimenti che attendono attuazione, le proposte rimaste a metà, approvate da un ramo solo del Parlamento. Questo tipo di bilancio assume che l’arte del governo si esaurisca nel far leggi. Le ricordo che qualcuno premierebbe chi ne facesse poche.

 

E allora? Lei da dove comincerebbe?

 

Nel volgermi indietro, per valutare quel che s’è fatto e quel che matura, comincerei dall’economia, dal governo, dal mercato del lavoro. L’economia, perché, dopo un decennio di crisi, si vede la fine del tunnel. Vi sono segnali molto incoraggianti. Il governo, perché quello Renzi è stato uno dei quattro governi dell’Italia repubblicana che è durato più di mille giorni: Renzi (ma prima di lui Craxi e Berlusconi) ci ha portato fuori dalla girandola delle compagini ministeriali che cambiavano ogni anno. Non è poco. Infine, il mercato del lavoro: anche qui s’è registrato un successo. Il numero degli occupati cresce. Non dimentichi il decollo della Germania con le riforme Schroeder.

 

Ma il quinquennio che si chiude è anche quello del secondo fallimento della riforma costituzionale.

 

Mi lasci vedere anche in questo caso un aspetto positivo. Il dialogo governo/Parlamento – popolo ha funzionato ancora una volta. Il congegno costituzionale è vivo. L’insuccesso – mi pare ormai chiaro – se l’è voluto l’iniziatore, Renzi stesso. Un sondaggio recente ha accertato che quasi il 70 per cento delle persone non ha votato per la riforma costituzionale, ma ha votato la fiducia a Renzi. Questi era l’iniziatore. Il suo testo era stato anche modificato dalla maggioranza parlamentare. La proposta di riforma rivolta al popolo era formalmente della maggioranza assoluta del Parlamento. Renzi non avrebbe dovuto “intestarsi” la proposta, facendo diventare il referendum un plebiscito sulla sua persona. Se avesse rispettato la lettera della Costituzione, probabilmente la riforma sarebbe stata approvata e sicuramente lui sarebbe ancora presidente del Consiglio.

 

Anche se è critico del modo di fare i bilanci di fine legislatura, che cosa ha da dire sulle leggi approvate?

 

Che al piagnisteo di una volta (l’abuso dei decreti legge) ora si è sostituito un altro piagnisteo (l’abuso del ricorso al voto di fiducia e ai maxiemendamenti). Perché non riconoscere una buona volta che i Parlamenti non sono mai stati grandi legislatori? Il loro compito è di mantenere l’indirizzo politico, di scegliere e appoggiare i governi, di controllarli. Un Parlamento che esaurisce il suo compito nel fare le leggi e che non controlla, come quello italiano, fa un pessimo servizio. Le leggi nascono nella bottega governativa, passano in Parlamento, che talvolta corregge, più spesso aggiunge, dando voci a micro-interessi e lobbies. C’è, poi, la gestione.

 

Che cosa intende?

 

Governare vuol dire in larga misura gestire. Qui vengono le carenze maggiori, perché i governi di questa legislatura non si sono dotati di una amministrazione di “stato maggiore” (come dicono i francesi), sono rimasti sguarniti. Hanno scritto grandi disegni di riforma amministrativa, rimasti sulla carta, anche perché silurati in parte dalla Corte costituzionale. Mentre bastava introdurre un percorso accelerato per pochi capaci, un “fast stream”, aperto a tutti, fortemente meritocratico, senza turbare l’assetto complessivo, limitandosi a portare al vertice, dopo una accurata selezione, un centinaio di persone capaci all’anno. Sarebbe bastato a gestire bene la complessa macchina dello Stato. Invece, i ministri sono rimasti soli, e con, tutta la migliore volontà, hanno potuto far poco o nulla di duraturo.

 

La riforma costituzionale è stata bocciata dal referendum. Capisco che lei boccia anche la riforma amministrativa.

 

Il suo disegno era buono complessivamente. La tempistica è stata sbagliata (bisognava partire subito dal vertice). E l’attuazione modesta, perché fare le leggi è facile, è difficile attuarle (ne sa qualcosa Brunetta, la cui legge è rimasta sulla carta).

 

Ma ora è ripartito il contratto degli statali.

 

Singolare vicenda: riparte ora, sotto elezioni. Riguarda il 2016-2018, quindi un triennio di cui due anni sono passati. Capisce?

 

No, non capisco.

 

Si sforzi, non l’aiuterò.

 

Ci proverò e le riferirò le mie conclusioni. Intanto, per riassumere, lei ritiene che si sia chiuso un quinquennio positivo.

 

Sì, a dispetto della riforma costituzionale arenata, delle leggi inattuate, del buco nella gestione della riforma amministrativa, penso che i successi nell’uscita dalla crisi, quelli sul mercato del lavoro, la stessa durata del governo centrale di questo quinquennio, siano elementi incoraggianti.

 

E per le banche?

 

C’è ormai una caccia alle streghe, dove cacciatori sono un po’ tutti. I “non performing loans”, gli incagli, le sofferenze, insomma le somme concesse in credito e non restituite, derivano in larga misura dalla crisi: il commerciante, l’acquirente della casa, l’imprenditore, il costruttore che sono ricorsi alle banche, ma sono stati colpiti dalla crisi e non riescono a onorare il debito. Se le banche non riescono a rifarsi sulle garanzie offerte, è colpa degli istituti di credito o di un sistema giudiziario che non riesce a tutelare la proprietà e a garantire il credito? Vogliamo portare i prenditori di credito sulle piazze e crocifiggerli insieme con coloro che hanno prestato loro denaro? Bel messaggio ai futuri banchieri!

 

Posso farle la domanda che si legge in una delle “Operette morali” di Leopardi: “Credete che sarà felice quest’anno nuovo”?

 

Felicissimo, se si leggono le promesse elettorali, che tutte le forze politiche fanno a destra e a manca, più che nel passato, perché con la fluidità dell’elettorato nessuno sa dove può pescare i propri voti, e quindi vediamo Berlusconi che promette ai poveri, Di Maio che rifiuta le etichette “destra” e “sinistra”.

 

Ma io ho chiesto a lei.

 

Le potrei rispondere con Leopardi: “Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo […] si principierà la vita felice”. Troppo bello! Io penso che con l’anno nuovo bisognerà abituarsi a un quarto di secolo di frammentazione, parlamentarismo, intese e compromessi, mediazioni. Fine delle aspirazioni maggioritarie e del bipolarismo, dell’alternanza. Bisognerà che la politica italiana scelga un diverso registro, meno agitato e urlato, più incline al compromesso, alla ricerca di stanze di compensazione, propenso all’accordo. Ci vorrebbero di nuovo Togliatti e Moro. Almanacchi, almanacchi nuovi, lunari nuovi.