I partiti in questa campagna elettorale tornino a parlare di doveri
Anche nella Costituzione italiana c’è simmetria tra diritti e doveri. Da Hannah Arendt al dirittificio di oggi. Parla Sabino Cassese
Professor Cassese, il Sole 24 Ore in questi primi giorni dell’anno, approssimandosi la fine della XVII legislatura e iniziandosi la campagna elettorale, ha contato le promesse fatte dai principali candidati e calcolato che costerebbero circa 130 miliardi. Ogni promessa un diritto nuovo, o un diritto vecchio che si ampia, a partire dal diritto al reddito di cittadinanza, ovvero al reddito di dignità.
Andazzo consueto, che si innesta su un uso consolidato, che chiamerei la sagra dei diritti. Tutto coniugato in termini di diritti, anche quando le contraddizioni sono palesi. Se si promette un reddito a carico dello Stato, è evidente che dall’altra parte non ci possono essere altri diritti (pagare minori imposte), ma doveri o obbligazioni (un accentuato carico tributario). Insomma, con qualche eccezione, segnalata dal direttore Cerasa, tutta l’azione statale, tutte le promesse vengono coniugate in termini di diritti, vecchi e nuovi. Nessuno parla di doveri e responsabilità.
Ma questa è l’età dei diritti. Non è giusto che anche la politica programmi la propria azione in termini di diritti?
Attenzione: “Caesar dominus et supra grammaticam”. Le ricordo una osservazione di Carl Schmitt: uno dei fenomeni più importanti nella vita intellettuale e giuridica dell’umanità è che coloro che hanno il potere reale sono anche capaci di definire il significato dei concetti. Cesare regna anche sulla grammatica. Siamo prigionieri del modo di impostare le questioni voluto da chi detiene il potere o dall’opinione pubblica prevalente.
Perché quella che lei chiama la sagra dei diritti corrisponde a un modo peculiare di impostare la questione?
Per due motivi. Il primo riguarda il disaccoppiamento di diritti e doveri. Le ricordo che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789 faceva riferimento nel preambolo ai “diritti e doveri”. Venne poi la dichiarazione del termidoro, quella del 22 agosto 1795, divisa in due parti, una dedicata ai diritti, una dedicata ai doveri. L’articolo 1 dichiarava solennemente che la conservazione della società richiede che quelli che la compongono conoscano e compiano i loro doveri. Essa elencava i doveri, quelli di difendere la patria, quelli di esser buon padre, marito, figlio, fratello, di osservare la legge, di rispettare la proprietà, di servire la patria, di mantenere la libertà e l’eguaglianza. La stessa simmetria si trova nella Dichiarazione americana dei diritti e doveri dell’uomo del 1948, dove nel preambolo si può leggere che l’adempimento dei doveri di ciascuno è prerequisito dei diritti di tutti. Anche questa dichiarazione contiene un elenco sia dei diritti sia dei doveri.
E l’Italia?
Anche nella Costituzione italiana c’è simmetria tra diritti e doveri. A partire dal secondo articolo, dove sono indicati i diritti inviolabili e i doveri inderogabili. E poi vi sono disposizioni costituzionali che riguardano il dovere di svolgere una attività o funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società, dovere che viene subito dopo il riconoscimento del diritto al lavoro. Le pare che ci ricordiamo di questo dovere quando parliamo del diritto al lavoro?
E gli altri doveri costituzionali?
Quello dei genitori di istruire ed educare i figli, quello di voto, quello di difendere la Patria, quello di essere fedele alla Repubblica e quello di adempiere le funzioni pubbliche con disciplina e onore. Vede quanti doveri messi nel dimenticatoio?
Lei ha parlato di due motivi dell’impostazione odierna prevalente. Il secondo?
Qui va segnalata una espansione della espressione “diritto di avere diritti”. L’espressione nasce in Hannah Arendt, che l’ha usata in un contesto particolare, storicamente determinato. Arendt si riferiva alla migrazione di interi gruppi di popolazione tra le due guerre mondiali. Si riferiva alla “perdita della patria”. Per lei era il diritto a far parte di una comunità. Un diritto che è stato affermato in un noto caso che ha visto l’intervento della Corte costituzionale tedesca e della Corte di giustizia europea. In questo caso, le due corti hanno concordato sulla conclusione che non si possa privare della cittadinanza una persona se, come conseguenza, quella persona diventi apolide o “snaturalizzato”.
Fatta questa ricostruzione filologica o genetica, quali conseguenze ne trae per quel che stiamo dicendo, sulla straordinaria espansione dei diritti e sulla dimenticanza dei doveri?
Nell’uso corrente che si fa del “diritto di avere diritti”, esso diventa un motore generativo di nuovi diritti, una sorta di porta aperta, di “revolving door”, che va al di là di quanto Hannah Arendt sosteneva: per lei bastava che una persona fosse riconosciuta come membro di una comunità, nella quale vi fosse un ordine costituzionale.
Proviamo a tirare le fila di questo dialogo, che ci ha portato lontano.
Mi pare che noi siamo entrati in una fase culturale nella quale operano insieme due forze congiunte. Da un lato, il disaccoppiamento tra diritti e doveri: se non vanno di pari passo, uno dei due può crescere all’infinito. Dall’altro, il plusvalore di significato conferito alla bella espressione arendtiana, che fa diventare illimitata la lista dei diritti. Le due forze insieme staccano il mondo dei diritti da quello dei doveri e pongono le condizioni per la espansione quasi senza limiti dei primi.
Ma in questo quadro c’entra anche lo Stato, la fonte dei diritti, della quale non abbiamo parlato.
Sì, c’entra lo Stato, ma c’entra anche il diritto universale. Il primo perché è dallo Stato che proviene la garanzia dei diritti. Il secondo perché molti diritti sono ormai riconosciuti anche a livello universale da un diritto globale che si impone anche agli Stati. Si crea quindi un campo di tensioni tra individuo-Stato-princìpi universali, tensioni che molte corti sovranazionali sono chiamate ad attenuare.
Per concludere, qualche suggerimento.
Sarebbe bene che i partiti alla ricerca di voti indicassero non solo diritti e prestazioni dello Stato che stanno a fronte di diritti, ma anche doveri, che comportano prestazioni dei cittadini allo Stato o alla comunità. Sarebbe bene che i partiti ricordassero che esistono legami fortissimi tra diritti e doveri. Sarebbe bene che i partiti si rendessero conto che, mentre i diritti sono intestati principalmente all’individuo, i doveri sono diretti prevalentemente alla collettività. Quindi, che governare una società vuol dire anche, e principalmente, parlare di doveri e responsabilità, perché non si può scindere un rapporto che non è a senso unico. Ricorda la tante volte citata frase del presidente Kennedy: “Non chiederti cosa il tuo paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”?