Sindaci in trappola
La stortura dei pm di considerare indagabile ogni atto di una carica elettiva
A leggere le cronache politico-giudiziarie si direbbe che i cittadini italiani abbiano la mania di eleggere sindaci dediti ad attività illecite, se non addirittura criminali. C’è un’alluvione, un terremoto o qualche altro evento nemmeno per forza tragico, basta una procedura accelerata, e prima o poi il sindaco viene indagato e rinviato a giudizio per omicidio colposo, o perché non ha ottemperato, in un momento terribile o anche solo urgente, a tutte le prescrizioni di legge. Non importa che si tratti della prima cittadina democratica di Genova o di quello a cinque stelle di Livorno. Va sempre così. Sono sotto attacco i sindaci delle due più importanti città italiane. Quello di Milano per atti precedenti al suo insediamento, quando da commissario dell’Expo aveva dovuto gestire appalti e trattative private (la procura generale di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per “abuso di ufficio”), e si sa che in questo campo si trova sempre qualche codicillo che è stato trascurato. A Roma, poi, è ormai un’abitudine: Gianni Alemanno era addirittura stato inquisito per associazione criminale nell’inchiesta indebitamente denominata Mafia capitale, il suo successore democratico è stato condannato per qualche conto di ristorante e Virginia Raggi è rimasta invischiata, più o meno consapevolmente, negli intrighi dei fratelli Marra.
Sono casi diversi, personalità spesso assai distanti, ma c’è un dato comune: si tratta di persone che hanno ricevuto un mandato popolare e che poi inciampano in un sistema di regole, norme, divieti e obblighi, spesso contrastanti. Fare il sindaco diventa un mestiere impossibile, se si cerca di fare qualcosa di utile si rischia molto, così sembra che l’unica via d’uscita sia l’immobilismo. Naturalmente nessuno chiede garanzie di impunità, ma quello cui si assiste in Italia è un fenomeno opposto, una specie di persecuzione non “ad personam” ma di un’intera, e di solito onorata, categoria. Incriminare un sindaco fa notizia, e la normativa confusa e debordante consente di farlo in moltissime occasioni. Il ruolo di un primo cittadino è un ruolo politico e la funzione è elettiva: questo significa che comporta uno spazio di sindacabilità (come dice la parola stessa) delle scelte. Invece settori della magistratura sembrano considerare quella funzione come una sorta di incarico burocratico, in cui si debbono seguire percorsi preordinati senza potersi permettere alcuna libertà di scelta. Per contro la responsabilità, che dovrebbe essere conseguenza dello spazio di arbitrarietà, è così vasta che finisce col configurare reati di omissione a ogni piè sospinto. Il sindaco che fa è sospettato di abuso di potere, quello che non fa di omissione di atti d’ufficio. Una trappola inestricabile. Alla quale di frequente si aggiunge la beffa di un’assoluzione, ma molto tempo dopo.