Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

L'accordo italiano che serve sull'Europa

Redazione

Appello a Pd e Fi per discutere subito della nuova architettura europea

Eravamo immersi in una campagna elettorale fuori dal mondo, con promesse irrealizzabili e discussioni surreali sui sacchetti della frutta. Per fortuna all’improvviso è entrata in Europa, nel senso che temi come il futuro dell’unione politica e monetaria e delle sue istituzioni sono entrati al centro del dibattito politico. “L’Europa sarà il primo punto della campagna elettorale”, ha detto il segretario del Pd Matteo Renzi nella direzione del partito, che propone di opporre una vera unione politica all’attuale impostazione tecnocratica e soprattutto alle “fughe dei ‘boh-euro’ o ‘no-euro’ che mettono in discussione l’appartenenza a questa grande storia”. Ma l’appartenenza a questa grande storia ha i suoi problemi e Forza Italia ha puntato i riflettori sulle trappole e gli ostacoli che il paese dovrà evitare nel processo di riforma dell’Unione che il motore franco-tedesco ha già avviato.

 

I capigruppo azzurri di Camera e Senato, Renato Brunetta e Paolo Romani, sono preoccupati per le proposte di creazione di un “Fondo Monetario Europeo che avrebbe il compito di sostituire la Commissione Europea nel controllo delle finanze pubbliche degli Stati membri” con un potere decisionale attribuito in base alle quote versate dagli stati e quindi in mano a Francia e Germania, che avrebbero “un potere enorme nel decidere anche sul sostegno al sistema bancario, dettandone le regole e, in seconda battuta, controllando i risparmi dei paesi membri”. Forza Italia, esagerando, critica l’assenza del governo in questo processo di riforma già messo nero su bianco da economisti francesi e tedeschi ed appoggiato dai rispettivi governi, ma il problema forse è più ampio (in ballo ci sono anche i nuovi criteri con cui le banche italiane possono tenere in pancia i titoli di stato) .

 

E cioè che l’Italia, come paese, è storicamente laterale rispetto ai grandi cambiamenti europei per la sua fragilità economica e politica, che spesso la porta ad avere un ruolo quasi passivo (vedi l’introduzione della direttiva sul bail-in, che le istituzioni italiane hanno ammesso di aver subìto). Questo atteggiamento non da protagonisti (dovuto anche allo sciagurato sistema istituzionale che rende quasi automaticamente debole ogni governo) porta acqua al mulino degli antieuropeisti, che però continuano a vivere fuori dal mondo. Luigi Di Maio, ad esempio, ha più volte dichiarato che la sua strategia per l’Europa è quella di approfittare della presunta debolezza dell’asse franco-tedesco per alzare la voce. Bene, se c’è qualcosa di evidente in questi giorni è che l’asse franco-tedesco è ben saldo e che si otterrà nulla battendo i pugni sul tavolo o minacciando di sbattere la porta. L’Italia si siederà a una trattativa e dovrà cedere qualcosa per ottenere qualcosa. Quali sono gli obiettivi fondamentali e quelli secondari è ciò di cui si dovrebbe discutere in campagna elettorale e su cui le forze responsabili dovrebbero trovare un accordo.

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