La giornata da pazzi degli ex onesti del M5s
L’estratto conto di Di Maio e il mito infranto della virtù a 5 stelle. I soldi, le allusioni e le vendette. L’addio di Borrelli
Roma. Luigi Di Maio arriva a Montecitorio di buon mattino, si consegna alla giuria delle Iene di Italia Uno, li porta in banca, e mostra il suo estratto conto, poi si chiude per diverse ore nella sua stanza di vicepresidente della Camera, al primo piano del Palazzo. Il telefonino che squilla come un nitrito d’apocalisse, i messaggi di Whatsapp che intasano lo schermo, i consulti con lo staff e i consigli della Casaleggio Associati, l’azienda-guru che mette al servizio di una tribù eterogenea e un po’ raccogliticcia la potenza arcana di numeri, simboli, icone e rituali: “Adesso bisogna parlare il meno possibile. Passerà anche questa”. Ma in realtà è il momento del panico, generale e diffuso. I telefoni vengono staccati, parla solo chi ha il permesso di farlo, scompaiono persino le pagine facebook di Andrea Cecconi, Carlo Martelli e Maurizio Buccarella, tre parlamentari, tre dei super sospettati in questa vicenda matta e disperatissima dei rimborsi e delle restituzioni, tra scontrini introvabili e bonifici fatti e ritirati, forse persino taroccati, una vicenda di virtù infranta o di virtù contrabbandata, alla quale adesso s’impicca l’intera politica italiana, un caso di moralismo moralizzato, una nemesi comica ma pure inquietante per l’opacità spacciata da trasparenza. “All’appello mancano molto più di un milione di euro. Sono almeno, dico almeno, tre milioni”, mormora Massimo Artini, mentre gira per i corridoi di un Parlamento semideserto, tra quelle porte chiuse e quegli ascensori da cui ogni tanto fa capolino il volto imbarazzato di un deputato a cinque stelle: c’è Angelo Tofalo, uno dei pochi ammessi al cospetto di Di Maio. “Il conto dell’ammanco è molto più alto perché nel totale dei soldi versati dai deputati del gruppo parlamentare ci sono anche quelli degli espulsi”, riprende Artini. E l’ex deputato dei cinque stelle, uno dei primi cacciati da Grillo e Casaleggio perché poco obbedienti, spiega che “per difetto ciascun deputato espulso ha restituito circa settantamila euro, e il gruppo degli espulsi è composto da trentotto persone. Il conto è facile. Quanto fa 38 per 70?”.
E sarebbe per tutti molto facile ricordare quando l’incorruttibile Cecconi firmava da capogruppo le lettere di espulsione per gente che aveva soltanto la colpa di aver sollevato un sopracciglio in una riunione di gruppo, o di quando Carlo Martelli girava in Transatlantico indossando sandali francescani, a manifestare purezza, alterità, intransigenza sbrodolata e povertà esibita.
Adesso va in scena invece uno spettacolo di salti, piegamenti, contorsioni, smorfie, giravolte e semiconvulsioni. Roberta Lombardi, lambita dai sospetti, prova a spostare da sé l’attenzione e allora pubblica fotocopie di bonifici fatti da Buzzi, quello di Mafia Capitale, a favore della campagna elettorale del 2012 di Nicola Zingaretti nel Lazio, e Di Maio pretende che tutti i parlamentari grillini consegnino al loro capogruppo le ricevute delle spese e le distinte dei bonifici. Eppure il problema non è di poco conto, è destinato ad avere conseguenze, e non riguarda solo la purezza infranta del Movimento. “Gli renderemo la vita impossibile. Faremo in modo che chi non ha restituito i soldi si dimetta”, dice al Foglio Manlio Di Stefano. Ma tutti i coinvolti in questo bislacco capestro che i grillini hanno costruito per impiccarsi con le loro stesse mani sono ricandidati in Parlamento, saranno insomma quasi sicuramente rieletti, e sono certamente molti di più dei nomi finora resi pubblici. Le “Iene”, in una specie di stillicidio, con metodo discutibile, hanno diffuso ieri “i primi dieci nomi”. E insomma è verosimile che la prossima legislatura si possa aprire con un gruppo di deputati e senatori che, espulsi dal Movimento, saranno alla ricerca di nuova collocazione negli intricatissimi equilibri che dovranno portare a una complicata maggioranza parlamentare. E già all’orizzonte s’intravede un mercato crepuscolare, un altro regalo del Movimento al Parlamento e alla politica tutta, come si sentisse la mancanza di discredito e di miseria.
Intanto all’ombra di questo pasticcio paradossale, questa vicenda d’imbonimento disvelato, come spesso accade nelle vicende opache del Movimento si consumano anche vendette trasversali, piccole infami delazioni, regolamenti di conti, e s’intravede pure, qui e là, il baluginio d’intricate e allusive minacce, che assumono le forme più strane e inaspettate. Così, nel caos di una giornata vissuta freneticamente, si è dimesso dal gruppo parlamentare del Movimento cinque stelle a Bruxelles David Borrelli, non una persona qualunque ma uno dei tre soci proprietari della piattaforma Rousseau, assieme a Massimo Bugani e Davide Casaleggio. Un fatto di primaria importanza, pare, nell’oscuro microcosmo di potere e di rapporti che regola gli indecifrabili equilibri dentro il M5s. E infatti Borrelli è un amico di Beppe Grillo. E dentro Rousseau è soprattutto l’ultimo – e unico – collegamento diretto tra il capo comico, che ha separato anche legalmente il suo destino da quello di Davide Casaleggio, e il mondo che ruota intorno all’azienda che guida con mano sicura il partito, cioè la Casaleggio Associati. “L’eurodeputato Borrelli – ha comunicato la capogruppo a Bruxelles Laura Agea – ha ufficializzato il suo ingresso nel gruppo dei non iscritti. Borrelli ha comunicato alla delegazione italiana del Movimento 5 stelle che la sua è stata una scelta sofferta ma obbligata da motivi di salute. Prendiamo atto che Borrelli non fa più parte del Movimento 5 stelle”.
In un posto normale nessuno avrebbe forse niente da dire. Ma poiché nel Movimento vivono di complotti veri e presunti, allora tutti mettono in dubbio le motivazioni ufficiali delle dimissioni e s’interrogano sulle reali ragioni che avrebbero spinto Borrelli a lasciare il gruppo. D’altra parte l’appartenenza ai cinque stelle non è incompatibile con lo stato di salute, lo sarebbe semmai il seggio al Parlamento: se hai un problema lasci il lavoro parlamentare, non il partito. E allora ecco il turbinìo delle supposizioni: anche lui, il socio di Rousseau e l’amico di Grillo, non ha restituito i soldi che aveva dichiarato di aver depositato? Improbabile, considerato che per regolamento gli europarlamentari dei cinque stelle devono restituire molto meno, in proporzione, rispetto a quanto restituiscono i parlamentari nazionali. E allora forse l’addio di Borrelli, che negli ultimi mesi manifestava dubbi e malumori raccolti anche dal Foglio (“Rousseau? Decide tutto Davide Casaleggio. Meno ne so, meglio è”), rappresenta l’ultimo fortissimo segnale della distanza di Grillo dal figlio del suo vecchio amico Gianroberto. Un segnale che si manifesta proprio nei giorni in cui nel M5s s’infrange il mito dell’innocenza.