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Non solo numeri. Perché ci penserà l'Europa a salvare l'Italia dal governo sfascista

Claudio Cerasa

I paletti europei che imporranno a Mattarella di fare di tutto per avere un governo all’altezza delle sfide di Macron. Le coalizioni possibili, quelle fittizie, la data chiave del 10 aprile e l’attesa per il 2019, quando nascerà un governo vero

Ci sarà tempo naturalmente per commentare i risultati delle elezioni politiche e per capire chi potrà rivendicare più degli altri la paternità di una vittoria o quantomeno di una non sconfitta. Ci sarà tempo naturalmente per analizzare l’Italia divisa in tre parti (Sud, Centro, Nord), per mettere in rilievo le differenze tra i risultati del 2013 – quando il Pd arrivò al 25,4, quando il Pdl unito arrivò al 21,5, quando la Lega arrivò al 4,09, quando Fratelli d’Italia arrivò all’1,9, quando il Movimento 5 stelle arrivò già allora al 25,5 – e per capire dove sono finiti quei voti in libera uscita che cinque anni fa finirono alla lista Monti (2 milioni e 800 mila, 8,3 per cento) e che oggi hanno contribuito a spostare da una parte piuttosto che da un’altra la bilancia delle elezioni. Ci vorrà tempo per capire tutto questo. Ma allo stato attuale, prima ancora di giocare con l’algebra e di capire quando, come e se potrà nascere una maggioranza di governo, c’è una certezza che già oggi si può tentare di scrivere nero su bianco. Una certezza destinata a essere la bussola che indicherà la giusta direzione da seguire nel corso della legislatura anche al presidente della Repubblica: a salvare l’Italia dagli sfascisti di governo ci penserà l’Europa.

 


I risultati delle elezioni 2018

 

Non sappiamo come nascerà, e se davvero nascerà, la maggioranza di governo. Ma sappiamo che per molte ragioni l’unica maggioranza destinata a governare questa legislatura è una maggioranza che a parole proverà a trasformare l’Europa in un avversario da cui proteggersi ma che nei fatti è destinata a far proprie le parole messe in fila mesi fa da Emmanuel Macron alla Sorbonne: “Dobbiamo avere l’audacia di intraprendere questo cammino: l’Europa che noi conosciamo è troppo debole, troppo lenta, troppo inefficace, ma soltanto l’Europa può darci una capacità di azione nel mondo davanti alle grandi sfide contemporanee. Certo, esiste una sovranità europea da costruire, ed è necessario farlo. Perché? Perché l’Europa è ciò che forgia la nostra identità più profonda, è questo equilibrio di valori tra libertà, diritti e giustizia, è questo legame tra economia di mercato e giustizia sociale, che è unico nel Pianeta, che non c’è dall’altra parte dell’Atlantico, né ai confini dell’Asia. E tocca a noi difendere questi valori e portarli avanti in questa globalizzazione”.

 

Non c’è bisogno di guardare ai numeri per capire che non c’è alternativa a un governo fatto non contro ma con l’Europa, e non c’è bisogno di guardare i numeri per capire che ogni governo intenzionato a lavorare contro il progetto europeo è un governo destinato a vivere solo nello spazio effimero delle utopie. Chiunque avrà il compito di provare a formare un governo sa che un paese come l’Itala può permettersi di dar voce all’anti europeismo solo in campagna elettorale perché quando poi il governo si avvicina non si può fare a meno dell’Europa, non si può fare a meno dell’euro, non si può fare a meno della riforma delle pensioni, non si può fare a meno della riforma del lavoro, non si può pensare di governare l’immigrazione prescindendo dall’Europa, non si può pensare di governare la nostra sicurezza prescindendo dalla triangolazione con gli altri paesi d’Europa, non si può pensare di giocare con i dazi a meno di non voler uccidere le imprese italiane, non si può pensare di proteggere i nostri confini senza ricordarsi che i confini del nostro paese sono prima di tutto i confini dell’Europa, non si può non ricordare che per difendere l’interesse nazionale è necessario farlo non separando ma unendo le forze. Mettere insieme queste idee all’indomani delle elezioni può sembrare solo uno sterile esercizio retorico ma ci sono almeno quattro ragioni per cui sarà l’Europa ancora una volta a dettare i tempi di questa legislatura. E forse mai come oggi.

 

Il primo punto riguarda la vera data che ci permetterà di capire che direzione prenderà la possibile e potenziale maggioranza parlamentare. Tutti, oggi, pensano al 23 marzo, giorno in cui si andranno a riunire le Camere per eleggere i nuovi presidenti di Camera e Senato. Pochi pensano a un’altra data importante che coincide con il 10 aprile. Entro quel giorno, il governo, quale che sia, anche quello corrente, dovrà presentare il suo Documento di economia e finanza (Def) e dovrà inviarlo a Bruxelles entro il 30 aprile. Il Def non è un pezzo di carta qualsiasi ma è l’indicazione di quello che farà chi si trova al governo e per poterlo poi cambiare in autunno come prevede l’articolo 81 della Costituzione occorre la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. In altre parole, a prescindere dal fatto se ad aprile ci sarà o no un nuovo governo, già il 10 di quel mese si capirà che ancora una volta, per avere un governo che non ci faccia precipitare nell’incubo sfascista, l’Europa sarà decisiva. Lo sarà per questo e lo sarà anche per altre ragioni.

 

Da un lato, ogni tentazione di governo sfascista sarà destinata a sciogliersi presto come neve al sole grazie alla presenza di un nuovo, netto e chiaro bipolarismo europeo, fatto di una competizione reale tra chi si ispira all’apertura e chi si ispira alla chiusura (e anche nella malaugurata ipotesi che un populista dovesse arrivare al governo non sarà difficile accorgersi, come già successo nel 2015 in Grecia ad Alexis Tsipras, che il principio di realtà si può negare in campagna elettorale ma si deve accettare quando si va a governare).

 

Dall’altro lato, ogni tentazione di governo sfascista sarà destinata a sciogliersi come neve al sole grazie alla presenza di un indicatore (lo spread tra i nostri titoli di stato e quelli tedeschi) che nel bene e nel male misura con efficacia quali sono le forze politiche incapaci di trasmettere sicurezza a chi investe soldi nel nostro paese – nel 2011 lo spread fece saltare la coalizione del centrodestra per le stesse ragioni, riforma del lavoro e riforma delle pensioni, per cui ancora oggi una coalizione di centrodestra è comunque destinata a non avere un orizzonte ampio. L’Europa – se il presidente della Repubblica non cadrà nella tentazione di essere guidato nella sua traiettoria post elettorale da una visione solo formalista dei numeri partoriti dal voto di ieri e se deciderà dunque di provare a forzare la mano per tenere i populismi il più distante possibile dalle stanze di governo – ci salverà da altre forme di sfascismo se il prossimo Parlamento imparerà a osservare con attenzione anche altre cose che l’Europa ha da dirci. E qui, più che il dato economico, il vero dato che conta è quello istituzionale. Le elezioni di ieri ci hanno detto senza possibilità di smentita che per governare un sistema tripolare non si può assecondare il tripolarismo ma bisogna combatterlo e per combatterlo l’unica soluzione possibile è quella di importare in fretta il modello francese. Almeno da due punti di vista. Il primo modello da importare – lo hanno capito persino in Germania, nel sacro regno del proporzionale, e lo ha capito bene il partito di Angela Merkel, la Cdu – è quello che regola il sistema elettorale ed è evidente ormai anche a un bambino che l’unico sistema che permette governabilità, stabilità e se vogliamo anche prosperità, è un sistema a doppio turno sul modello francese (il 4 marzo, forse, una volta per tutte, abbiamo capito il danno causato il 4 dicembre dalla vittoria del No al referendum costituzionale). Da questo punto il prossimo Parlamento non potrà prescindere. Così come, una volta che i risultati elettorali di ieri sera saranno stati letti e analizzati a freddo, forse c’è un altro tema da cui non si può prescindere e che riguarda ancora una volta la parabola di Macron. Guardate i numeri del Pd e guardate i numeri di Forza Italia e guardate i numeri dei piccoli partitini moderati e provate a chiedervi solo per un attimo cosa potrebbe accadere se i vecchi contenitori confluissero tutti in unico grande contenitore. Se si fosse in grado cioè di offrire agli elettori una proposta politica più semplificata, forse impossibile: un en marche non solo populista (e non solo a cinque stelle) ma anche riformista (e dunque macroniano).

 

Ci sarà tempo per parlarne. Ora, attendendo gli esiti dei processi successivi al 4 marzo, esiste solo una certezza: a salvare l’Italia dagli sfascisti di governo, in un modo o in un altro, ci penserà l’Europa. E se non sarà l’Europa, al massimo saranno le Europee. Nel 2019, tra un anno, a maggio, si rivota. E chissà che il vero governo che guiderà l’Italia in questa legislatura non nascerà dopo quelle elezioni. Quando sottrarsi alla nuova divisione del mondo, apertura vs chiusura, sarà impossibile. E quando, dato non secondario, in Europa scadrà un mandato di un signore importante di nome Mario Draghi.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.