Il Cav. tace, ma nel centrodestra tutti si candidano a tutto
Calderoli e Romani vogliono il Senato. Giorgetti premier. Le telefonate di Paragone, le improvvisazioni della Lega, gli sbadigli di Berlusconi
Roma. Mentre Matteo Salvini si pone seriamente il problema di giocarsi l’occasione della vita, Silvio Berlusconi rimane fermo, alla finestra, e ai suoi consegna ragionamenti distaccati e pazienti, meno sottotono rispetto agli ultimi giorni. Parole che suonano all’incirca così: “Il pallino ce l’ha il Pd. Che ha perso le elezioni, ma in pratica dà le carte. Le correnti del Pd tirano verso un rapporto privilegiato con i Cinque stelle, il gruppo parlamentare che forse risponde ancora a Renzi tira invece verso di noi”. E “noi” in questo caso non significa Matteo Salvini, ma un nome alternativo, uno più moderato, anche un leghista (“Giancarlo Giorgetti è molto in gamba. Ma pure Zaia. E Maroni”), malgrado il Cavaliere ufficialmente la linea l’abbia dettata con un’intervista mandata per email al Corriere della Sera (praticamente una versione corta del suo videomessaggio dell’altro giorno): coalizione unita attorno al nome di Salvini “e io faccio il regista”. E fare il regista, per il momento, significa tacere, osservare, lasciar lavorare di fino Gianni Letta, e lasciare anche che i colonnelli (Renato Brunetta, Paolo Romani, Niccolò Ghedini) intreccino le loro trame personali e parallele. Guinzaglio lungo, dunque. Per adesso. Il primo passaggio è l’elezione a fine mese dei presidenti di Camera e Senato. E nel centrodestra è tutto uno sgomitare, un farsi concorrenza, una corsa un po’ bizzarra verso i pennacchi più alti del Parlamento. Roberto Calderoli vuole fare il presidente del Senato, e briga. Ma pure il forzista Romani vuole fare il presidente del Senato. E briga. Così succede una cosa incredibile. In pratica Calderoli contatta quelli di Forza Italia e gli fa capire che devono assolutamente insistere sul suo nome perché, spiega la vecchia volpe, “se eleggete me al Senato poi diventa complicato mettere un leghista a Palazzo Chigi”. Mentre Romani fa il ragionamento inverso, e ai leghisti dice: “Votate me. Così a Palazzo Chigi va uno di voi”.
Ma ovviamente tutti fanno i conti senza l’oste, non solo senza Sergio Mattarella, ma senza Silvio Berlusconi, che un po’ frettolosamente viene dato per pensionato. Il Cavaliere non si fa illusioni, nemmeno sul governo, è scettico, e come al solito non decide nulla, lascia che tutti facciano le loro mosse, giochino i loro giochi, stendano tutti i fili delle loro ambizioni (anche le più strampalate), mentre lui rimane fermo, immobile, pronto a fare la sua mossa soltanto all’ultimo istante possibile. D’altra parte a dominare sono la confusione, l’improvvisazione, la mancanza di canali affidabili e di interlocutori solidi su tutta la linea: nessuno sa bene con chi parlare dall’altra parte. E anche quando questi contatti avvengono – Lega-Pd, Lega-M5s, Forza Italia-Pd, Pd-M5s – a tutti rimane un po’ l’impressione e il sospetto di aver parlato con un ambasciatore non pienamente autorizzato. Quando per esempio il leghista Giorgetti ha ricevuto la telefonata, mercoledì, di Gianluigi Paragone – quello della televisione eletto in Parlamento con il M5s, l’ex direttore della Padania passato con Di Maio – Giorgetti è stato cordiale, ma abbassata la cornetta s’è pure chiesto: “Ma questo parla per conto di chi? Boh”. Lo stesso è capitato a Luigi Zanda, il senatore veterano del Pd. Tutti offrono qualcosa a qualcuno. Una presidenza, un ministero, una poltrona di governo, uno scranno in cima all’Aula di Montecitorio, ma con una tale scombiccherata prodigalità che tutto questo gioco sembra un concorso a premi, una televendita di Vanna Marchi, roba da principianti. E infatti Berlusconi si ritrae. Parla poco. Quando lo fa dice a tutti: “Va bene”. Ma è più che scettico. D’altra parte lui il gioco, quello vero, quello da adulti, lo ha conosciuto e giocato a lungo. Non ha fretta.
“Inutile agitarsi”, dicono ad Arcore. “Ancora non sappiamo nemmeno se il presidente Mattarella si orienta verso Salvini o verso Di Maio”. E allora, fermo com’è, Berlusconi aspetta che sia la realtà a mostrargli la strada da percorrere, quando la polvere delle chiacchiere e delle velleità (anche dei suoi cortigiani) si sarà sedimentata. La linea ufficiale è andare avanti con Salvini, lasciarlo giocare fino in fondo. Poi, quando il segretario della Lega si sarà stancato, o avrà fallito: zac! Qualcuno verrà a parlare con il Cavaliere. E come dice un suo vecchio amico “a quel punto verrà fuori il nome di un candidato premier più moderato di Salvini. Una cosa possibile”. E d’altra parte Matteo Renzi non è andato a sciare, è rimasto in città, è dimissionario ma ha eletto praticamente quasi tutti i parlamentari del Pd. Così è vero che anche lui, come Berlusconi, non parla, ma c’è un solo numero di telefono che ancora può digitare sulla tastiera del suo telefonino: quello del centralino di Arcore.