I vincenti non vincono al Quirinale
Dividere la destra, conquistare il Pd. Perché il gioco di veti del M5s spinge Di Maio in un angolo pericoloso
Roma. Arrivato al Quirinale con gli scudieri Danilo Toninelli e Giulia Grillo, Luigi Di Maio espone al presidente della Repubblica una serie di ipotesi, di mosse e di richieste alle altre forze politiche, che farebbero quasi pensare – dovendolo prendere sul serio – che il capo politico del Movimento cinque stelle voglia tornare a votare al più presto. E infatti Di Maio dice di voler governare con Matteo Salvini o con il Pd. Solo che se va a governare con Salvini, Di Maio dice anche di non volere avere niente a che fare con Silvio Berlusconi, il capo di Forza Italia che Salvini però non intende (e non può) mollare. E già si comincia a intravedere l’impasse che ieri, al Quirinale, faceva sorridere i vecchi giornalisti, e persino i funzionari del palazzo: “Niente indica che possa accadere nulla di tutto ciò. Salvini che va a fare il socio di minoranza del M5s? Forza Italia che si scinde? Ipotesi irrealistiche”. D’altra parte, pare che Di Maio l’abbia pure detto ai suoi parlamentari: “Se andiamo a votare di nuovo entro sei mesi, sarete tutti ricandidati”.
Al termine del primo, infruttuoso, giro di consultazioni al Quirinale, dopo che il presidente Sergio Mattarella ha utilizzato la parola magica “tempo”, forse attrezzandosi di didattica pazienza, tutti tornano a pensare alle elezioni. Inevitabilmente. O a un gioco a scacchi complicatissimo, specie perché nessuno vede dei Moro o degli Andreotti sul proscenio di queste trattative millimetriche e al momento anche scombiccherate. Se l’offerta di Di Maio a Salvini appare, per così dire, troppo densa di prescrizioni e veti, quella rivolta dal capo politico del M5s al Pd provoca addirittura qualche sorriso. Ammessa infatti l’improbabilissima ipotesi che anche Matteo Renzi sia della partita, e che dunque di questa evanescente alleanza con il M5s faccia alla fine parte tutto il Pd, la somma di Movimento cinque stelle e Partito democratico descriverebbe comunque una maggioranza fragilissima, che al Senato si terrebbe in piedi su appena due voti. Un’ipotesi ancora più inverosimile della precedente. Ma se l’offerta a Salvini è irragionevole e quella al Pd per così dire surreale, che gioco sta giocando Luigi Di Maio?
Difficile dirlo. Di Maio è tra tutti quello che rischia di più. Leader senza partito, issato sul trono girevole del M5s da Grillo e Casaleggio, senza voti suoi, il ragazzo di Pomigliano si muove bene, parla bene, sorride bene ma porta in fronte una data di scadenza: se non gli funziona, e rapidamente, questa partita del governo Di Maio è bruciato, e i suoi committenti troveranno un altro leader con il quale sostituirlo, uno come Alessandro Di Battista, per esempio. Per questo Di Maio non può in realtà tirarla troppo per le lunghe tra mediazioni, trattative, consultazioni e vertici con gli altri partiti. Se si votasse in tempi veloci (massimo sei mesi, ma sono comunque tanti) toccherebbe forse ancora a lui. Forse. Mentre un governo pasticciato della durata di uno o due anni sarebbe la sua fine. Ed è infatti possibile che lui veda come una trappola la strategia del “prendere tempo” inaugurata da Mattarella, e di fatto benedetta da Salvini. Il segretario federale della Lega che a Di Maio lancia segnali che suonano all’incirca così: non posso rompere con Berlusconi, ma col “tempo” la convivenza tra te e Berlusconi la si può spiegare. Ovvero, come ha detto anche Giovanni Toti, il presidente forzista della Liguria e amico di Salvini, mercoledì al Foglio: “Bisogna avere il tempo di far maturare una narrazione, uno storytelling, una drammatizzazione. Quando le opinioni pubbliche saranno convinte, allora si potrà provare a fare il governo”. Ma è possibile che Di Maio in realtà questo tempo non ce l’abbia, e veda persino con preoccupazione la rapidità con la quale invece il calendario istituzionale scorre verso la fine di aprile. Scavallato aprile si allontanano le elezioni a giugno, e tutto si fa più lento. E per lui pericoloso.
Voci di Palazzo sostengono che oggi Di Maio incontri Salvini, con il quale l’intesa personale sarebbe molto più solida di quella politica tra la Lega e il Movimento cinque stelle. Quanto è davvero pragmatico Di Maio? E’ una misura che forse Salvini gli ha preso, ma il resto d’Italia no. E ancora nemmeno Mattarella. Il presidente ha una sola arma per adesso: il tempo. Ma Di Maio si farà incastrare?