Se anche il Pd tarocca il suo programma
Dai tre punti di Martina al silenzio sulle riforme vere e necessarie. Vale la pena?
Dei programmi taroccati dei Cinque stelle sappiamo ormai tutto, ma a ben guardare hanno questo (le varie versioni) in comune: sono truffaldi in ogni caso, e in qualunque modo difficilmente realizzabili. E questo comporta, al limite, una minaccia relativa di danno al paese. Invece è un danno vero per il paese, anche in proiezione futura, se a taroccare il suo programma ci si mette anche il Pd. Perché anche se ha perso, il Pd del 4 marzo un buon programma l’aveva, per l’Italia e l’Italia in Europa. Però a poco a poco, dicendolo pure e senza cambiare i pdf, i dem il loro programma lo stanno manomettendo. Rischiando di perdere – per ora è solo un rischio – per strada la parte migliore. E’ ovviamente il caso dei “tre punti programmatici” indicati da Maurizio Martina per imbastire un possibile incontro con le idee del M5s: ampliamento del reddito di inclusione, assegno universale per le famiglie con figli, salario minimo legale. Cose anche buone, non il core business di un partito di sinistra riformista che sognava di essere à la Macron. Ma non è solo questo. Se ci fate caso, in un mese, dal vocabolario delle dichiarazioni dem sono spariti i temi dell’Industria 4.0, delle riforme fiscali, dell’adesione all’Europa senza se e senza ma. E persino quella netta indisponibilità a trattare o governare con le forze populiste su cui il Pd aveva giocato la sua reputazione e una fetta del suo futuro. Persino un Calenda, il più sviluppista dei ministri uscenti, che ha preso la tessera del partito, sembra rassegnato al governo del dentro tutti che verrà. Forse è inevitabile, ma sarà un governo per riformare cosa? Forse stare all’opposizione non si può, ma rinunciare alla parte migliore del proprio programma, magari è peggio.