Il Pd, tra Berlusconi e Salvini
Il Cav. dice “governo di minoranza”. Salvini diffida ma nella Lega si discute del no a Renzi
Roma. L’aveva detto l’8 aprile, ad Arcore, poco prima del secondo giro di consultazioni al Quirinale, strappando un sorriso a Giorgia Meloni e una smorfia a Matteo Salvini. “Ci sarebbe quella cosa che mi ha suggerito Letta”, diceva allora il Cavaliere, “il governo di minoranza”. Lo ha ridetto venerdì, ma stavolta in pubblico, a Trieste, in un’intervista a Rainews24. “E’ un governo di chi ha vinto le elezioni, che si presenta con un programma di tre quattro cose che si impegna a fare nei primi 100 giorni, e che chiede al Parlamento la maggioranza su questo progetto”. E ancora una volta, Salvini, ascoltandolo deve aver avuto l’impressione che il Cavaliere stia giocando con le parole. Perché voti da raccattare in Parlamento non ce ne sono, e come ha spiegato anche Denis Verdini, lui che ha esperienza in questo campo, “accordi fuori dal perimetro dei negoziati tra partiti, tra partiti interi, in questa legislatura non ce ne sono”. E allora, pensano nella Lega, “Berlusconi dice ‘governo di minoranza’ ma intende ‘governo del presidente’”. Un governo con il Pd. Uno schema che potrebbe proporsi presto.
E allora tutti hanno capito che è al Pd, a Matteo Renzi, e alle antiche logiche del Nazareno che Berlusconi è tornato a guardare, complice – ovviamente – Gianni Letta, il più duro con Luigi Di Maio e i Cinque stelle. Un’alleanza, quella con il Pd, che Matteo Salvini ha respinto, negato, fin dall’inizio, pur con qualche tentennamento e vago ripensamento nel suo gruppo dirigente, se è vero – come pare – che in una delle loro riunioni il vicesegretario leghista Lorenzo Fontana, che per Salvini è come un fratello minore, si sia lasciato andare dicendo che “forse Matteo è stato un po’ troppo precipitoso nello sbattere la porta in faccia al Pd”. E’ il segno di una crepa all’interno dell’apparentemente monolitica posizione della Lega? Forse no. Ma è il segno che da quelle parti si fa ancora politica, che è arte del compromesso.
“Se non si farà il governo con il centrodestra e il Movimento cinque stelle io non ho intenzione di perdere tempo. Si va a votare”, dice Salvini. Ma dentro Forza Italia suggeriscono che Giancarlo Giorgetti, l’architetto di retrovia, il negoziatore esperto della Lega, non sia poi così contrario ad altre soluzioni. E allora quello che Berlusconi chiama “governo di minoranza”, Giorgetti lo chiama “governo del presidente”, ma la sostanza cambia poco perché sempre si tratta di far venire meno (intanto) il veto assoluto su Renzi e sul Partito democratico. “Il governo del presidente non ci piace”, aveva detto Giorgetti il 19 aprile a Porta a Porta, “ma la Lega è una forza responsabile. E se dovesse prospettarsi questa ipotesi il segretario farà le sue valutazioni”.
Certo, si tratta ancora di un’ipotesi remota, un’eventualità sottoposta a troppe variabili, e comunque diluita in tempi che si annunciano lunghi. Sia Salvini sia Berlusconi attendono lunedì, il risultato del Friuli, che potrebbe ulteriormente modificare i loro rapporti di forza interni. Ed entrambi, giovedì, osserveranno le convulsioni del Pd in una direzione nazionale che – secondo le previsioni – dovrebbe, alla fine, dopo l’apparizione di Renzi da Fabio Fazio (domenica), pronunciarsi a favore di un ulteriore approfondimento dei contatti con il M5s. Si arriverebbe in questo modo al fine settimana della svolta possibile. Fallito (ma chissà) il tentativo Pd-M5s, verificato l’insolubile intrico di veti intorno al tentativo centrodestra-M5s (ma chissà), non rimarrebbe che una domanda diretta di Sergio Mattarella: “Vuoi tu Salvini parlare anche con Renzi?”. E stavolta il no potrebbe non essere pronunciato.