L'altro governo Di Maio
Uno ce l’ha fatta, Conte, e gli altri? Ricognizione tra le riserve del grillismo, tra delusioni e Cencelli
Roma. Inconfessabile per questione d’opportunità, ovvio, ché esternarla non parrebbe cosa degna; silenziata per decenza, va bene, così da evitare accuse di malevola rivalità: ma certo un po’ d’invidia devono provarla, nel vedere che alla fine uno di loro – forse il solo – sembra avercela fatta. Oppure c’è da credere che davvero abbia ragione chi suggerisce che non sia per una forma di garbo tra colleghi accademici, se i fantaministri pentastellati rimasti per ora esclusi dalla tribolata lista di governo, rinunciano a sbilanciarsi nei commenti sull’esecutivo che verrà, ma piuttosto per un malcelato residuo di speranza, per una forma di prudenza preventiva propria di chi non si è ancora rassegnato.
Tra i pochissimi a non aver aspettato che fossero altri, a liquidarlo, c’è Pasquale Tridico, che aveva accettato lo pseudo-incarico al ministero del Lavoro nella promessa di un esecutivo che guardasse a sinistra, e che vistosi tradito si è defilato. Ora, di fronte all’ipotesi dell’accorpamento del “suo” dicastero con quello dello Sviluppo economico, si mostra dubbioso: “In teoria – dice al Foglio – potrebbe essere un’opportunità, specie per chi, come me, crede che tramite gli investimenti pubblici si crei occupazione. Il tutto, però, in un’ottica keynesiana che non mi pare quella che il M5s possa condividere con la Lega”.
Interessato all’argomento è – o dovrebbe essere – anche Lorenzo Fioramonti, il professore anti pil che è tornato da Pretoria con la voglia di trasferirsi direttamente al Mise. Le sue quotazioni sono però in forte calo, anche a causa di una sotterranea guerra intestina ai piani alti del M5s che ne ha decretato l’esclusione dal tavolo del “contratto di governo”. Non parla, Fioramonti, che pure negli scorsi giorni, con una dichiarazione apparentemente improvvida, s’era scagliato contro la flat tax leghista. La stessa contro cui si è espresso anche Giovanni Dosi: “Un regalo ai ricchi, e incompatibile col reddito di cittadinanza”, ha sancito il professore del Sant’Anna di Pisa, mentore di quell’Andrea Roventini, “keynesiano eretico” per sua stessa definizione, indicato da Di Maio quale futuribile ministro dell’Economia. Che non esulti per l’alleanza grillo-leghista, Roventini, non è certo un mistero: ma tra i responsabili del programma del M5s c’è ancora la convinzione di potergli riservare un ruolo nel nascituro esecutivo. E d’altronde è quello, grosso modo, il non dichiarato desiderio che continua a solleticare le ambizioni degli altri ministrivorreima(forse)nonposso, i quali ancora si scambiano messaggi e considerazioni nella loro chat di WhatsApp. E non a caso è “con animo positivo e fiducioso” che Alberto Bonisoli, il direttore della cosiddetta Nuova accademia di belle arti milanese e ancora aspirante successore di Dario Franceschini al Mibact nonostante la sua mancata elezione a Montecitorio il 4 marzo, dice di attendere gli sviluppi imminenti della “situazione”. E’ “paziente e curioso” anche il suo collega di nongoverno Mauro Coltorti, geomorfologo marchigiano investito della noncarica di nonministro delle Infrastrutture. Curioso, ovviamente, di capire quel che sarà, ma anche di scoprire se alla fine pure per lui potrà esserci un qualche incarico nelle retrovie dell’esecutivo – almeno a giudicare dal timore con cui dice di aver “comunque dato una mano nella stesura del programma in queste settimane di trattative” quando gli si chiede in che modo lui, ambientalista convinto, abbia assistito agli equilibrismi retorici dei vertici pentastellati intorno alla Tav e alle grandi opere. Giura invece di essere impegnata solo e soltanto nel suo lavoro di professoressa universitaria Filomena Maggino, presentata nello show del primo marzo scorso quale perfetta responsabile del ministero per la Qualità della vita, soppresso prima ancora d’esser creato durante i colloqui tra Di Maio, Salvini e i rispettivi tecnici. Giuseppe Conte è lì che s’appresta alla propria apoteosi quirinalizia, scendendo dal taxi che lo ha portato fino al Colle (e che da lì lo porterà, un paio d’ore abbondanti più tardi, fin sulla soglia di Montecitorio), quando la Maggino risponde dal suo studio nel dipartimento di Scienze statistiche della Sapienza: “Ho un colloquio in corso con delle persone importanti, e mi dispiacerebbe costringerle ad attendere”, si limita a rispondere, con studiata cordialità. Preferisce non commentare pure Salvatore Giuliano, il vulcanico preside del Majorino di Brindisi, entusiastico estimatore della Buona scuola renziana prima di accettare il mandato ipotetico di ministro grillino della Pubblica istruzione. “A me non è più stato fatto sapere nulla”, confessa Armando Bartolazzi, dirigente al Sant’Andrea di Roma ed ex futuro ministrabile per la Salute, quasi accennando una protesta che però subito si addolcisce in una pacata riflessione: “D’altronde è inevitabile che, con un tecnico come premier, i partiti rivendichino per i loro esponenti i ministeri, così da mantenere un controllo sull’esecutivo”. Deluso per l’accordo con la Lega? “Non direi, va bene qualsiasi alleanza purché si cominci a lavorare”. E Bartolazzi, non lo nega, è pronto eccome. “Ho già detto che sono a disposizione per un ruolo operativo al ministero, indipendentemente dal nome del ministro. Dopo tutto è da lì che si può provare a fare davvero qualcosa”. E lui, se non altro, ha il candore di ammetterlo.