I nuovissimi vice-mostri
Biografie esemplari, selezionate senza bisogno del curriculum, del governo giallo-verde
Vito Crimi
Lo chiamavano “orso Yoghi”, Vito Crimi, ora nominato sottosegretario del governo giallo-verde con delega all’editoria, o anche “poliziotto buono” della prima, inarrivabile coppia dello streaming a Cinque stelle versione 2013, quando, sonnacchioso capogruppo al Senato, affrontava con un’arcigna Roberta Lombardi, capogruppo a turno alla Camera e poliziotto cattivo, il Pierluigi Bersani dello scouting. Senatore palermitano a Cinque stelle eletto a Brescia (città d’elezione) nell’anno dello Tsunami grillino e in vista della mai avvenuta apertura della scatola di tonno, Crimi è anche noto (leggenda metropolitana ma anche no) per qualche gaffe internettiana a margine delle riunioni della Giunta che doveva decidere sulla decadenza di Silvio Berlusconi (“facevi meno danni quando facevi tardi perché non riuscivi a trovarla”, scherzava l’ex collega poi espulso Lorenzo Battista). Oggi il sottosegretario e senatore, rieletto ma non molto attivo su un territorio lombardo dove il Pd risulta in controcorrente vittorioso, si aggira a Palazzo Madama senza più l’ombra dell’originale timidezza anfibia, anche utile per inabissarsi e riemergere al momento opportuno, evitando altresì di impelagarsi troppo nelle sottomarine (e fino a poco tempo fa “proibite”, nel M5s) manovre di corrente. In origine assistente giudiziario presso la Corte d’Appello di Brescia, ha raggiunto vette di (esilarante) popolarità sui social nel 2015, in occasione della pubblicazione su Facebook della lettera di un suo amico, in cui si adombrava un misterioso, presunto complotto ai danni dell’ambiente, la cui evidenza era corroborata dalla foto dei “piedini sporchi” (impolverati) del bimbo dell'amico medesimo. Mai polvere fu meno profetica, e mai gli internauti, molto divertiti, avrebbero immaginato di ritrovarsi Crimi nientemeno che sottosegretario.
Manlio Di Stefano
Diventa sottosegretario agli Esteri, il settore in cui da anni rappresenta la vera anima dei Cinque stelle – quella più verace, quella da commento complottista su social media, che però è stata cloroformizzata per rendere il partito più presentabile. E infatti Di Stefano è stato considerato candidato alla Farnesina per molto tempo, ma si deve accontentare di un ruolo minore. Prendete il meglio (il meglio?) dell’ideologia alternativa antioccidentale e avrete la linea Di Stefano. Il cardine è questo: la Nato è pericolosa, la Russia non è pericolosa. E infatti come primo atto al governo Di Stefano chiederebbe scusa ai siriani “perché siamo noi, noi intesi come i paesi parte della NATO, il giardino di casa degli Stati Uniti e delle loro perverse logiche di dominio del mondo”. “Gli Stati Uniti e l’Unione europea appoggiano lo Stato islamico, questo è un dato di fatto” (dalla sua pagina Facebook, 16 settembre 2015). Nell’ottobre 2016 Di Stefano ha accusato l’America di avere bombardato alcune postazioni militari siriane per aiutare lo Stato islamico. Altra perla: in Venezuela si sta male, “ma anche da noi in Italia si sta male”, come a marzo 2017 disse agli esterrefatti italo-venezuelani che partecipavano a un incontro tra la delegazione Cinque stelle in visita a Caracas. Invano i presenti tentarono di spiegargli che in Venezuela si muore di fame, i banchi dei supermercati sono vuoti e le libertà politiche sono negate.
Luigi Gaetti
La politica ha cominciato a farla, quando il M5s ancora non esisteva, con la Lega: consigliere comunale a Curtatone, nel 2000. “Ma fu solo per due anni, due anni e mezzo al massimo”, ci tiene a precisare Luigi Gaetti, mantovano classe ’59, appena nominato sottosegretario all’Interno. Poi, la folgorazione per le cinque stelle, sotto le cui insegne si candida alle regionali lombarde nel 2010. Gli va male, e allora l’anno seguente ci riprova alle provinciali: competizioni alle quali il M5s non partecipa, e allora lui, anatomopatologo col pallino della decrescita felice, tenta la fortuna con una lista di medici ambientalisti. Niente da fare manco stavolta. Gli tocca aspettare il 2013, per ottenere 144 voti alle parlamentarie e poi l’elezione al Senato. “Ha un po’ il gusto dell’ironia macabra”, confessano i suoi amici grillini, che riferiscono di lunghe conversazioni in cui Gaetti li diletta con dettagli raccapriccianti su una a caso delle 2.500 autopsie che vanta nel suo curriculum. E del resto già nel marzo del 2007, quando Beppe Grillo arriva a Mantova col suo spettacolo “Reset”, Gaetti interviene per parlare di come i polmoni umani stiano progressivamente “cambiando colore” a causa delle polveri sottili. A Palazzo Madama, però, prende a occuparsi perlopiù di giustizia, e finisce in commissione antimafia. Per questo ora al Viminale si occuperà di beni confiscati e protezione dei testimoni di giustizia. Il tutto, nonostante abbia già esaurito i suoi due mandati. Per questo il 4 marzo non si è neppure ricandidato. Prometteva di voler tornare a fare il medico, e invece eccolo qui. “Ma la regola – protesta ora al Foglio – vale solo per le cariche elettive: questa è una nomina fatta in virtù delle mie competenze maturate sul campo”. E la politica come servizio a tempo determinato? “L’esperienza conta”, ribatte lui. Che aggiunge, sdegnato: “Da senatore ho perso oltre 200.000 euro rispetto a quanto avrei guadagnato da medico”. E forse è anche per questo che alla voce “varie”, nei suoi rendiconti, figurano 61.000 euro che lui spiega d’aver destinato “alla mia pensione privata”. Ché la politica è bella, certo, ma se a farla ci si rimette, bella lo è un po’ meno.
Angelo Tofalo
Durante la scorsa legislatura Angelo Tofalo è un ingegnere grillino assegnato al Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che esercita il controllo sulle attività dei servizi segreti. Tofalo finisce coinvolto in uno scandalo quando si viene a sapere che ha dato duemila duecento euro ad Annamaria Fontana, una donna che sarà poi arrestata con il marito con l’accusa di traffico d’armi, per un viaggio a Istanbul in Turchia. A Istanbul la Fontana e Tofalo incontrano Khalifa Gwell, capo di una fazione libica che vuole rovesciare il governo di Tripoli appoggiato dall’Italia del governo Gentiloni. Gwell ci ha ha effettivamente provato due volte a distanza di pochi mesi, ma i suoi tentativi di golpe non sono riusciti e sono stati respinti. La Fontana, pagata da Tofalo, parla con Gwell di una possibile fornitura di missili. Tofalo vuole organizzare una grande conferenza “di pace” a Roma nel novembre 2016 sponsorizzata dai Cinque stelle per riunire le fazioni libiche che si oppongono al governo di Tripoli, poi finita nel nulla. Resta il dato di fatto: l’opposizione italiana parla con i golpisti libici che vogliono rovesciare armi in pugno un governo alleato dell’Italia, che è una manovra diciamo poco responsabile. Ma in tutto questo non è coinvolta la Grande Figura Criminale Italiana, il babbo di Renzi, e quindi la questione è presto dimenticata. Tofalo nel 2015 ha anche scritto su Facebook che lui non smetterà mai di cercare la verità sull’11 settembre. Ora, le teorie del complotto che riguardano l’attentato dell’11 settembre incolpano il governo americano e quindi sarà lusinghiero e rassicurante avere un sottosegretario della Difesa che sospetta che al Qaida sia una messinscena e che gli americani si siano buttati giù le Torri Gemelle da soli.
Carlo Sibilia
Carlo Sibilia, nuovo sottosegretario all’Interno, lo riconoscete subito dall’eloquio complottista, dai tweet sull’allunaggio che non c’è mai stato, come disse lui nel nel 2014. Lo riconoscete subito dal suo stile inconfondibile: “Oggi si festeggia l’anniversario dello sbarco sulla Luna. Dopo 43 anni ancora nessuno se la sente di dire che era una farsa…”. E ancora: “Oggi la Apple presenta l’iPhone 8, noi in Parlamento siamo costretti dal Pd a discutere di fascismo vs comunismo”. Una volta litigò pure con Enrico Mentana e il deputato annunciò querela in maniera pittoresca: “Si usa difesa tramite querela quando qualcuno, a corto di dialettica, passa a pubblica offesa. Sillogismo facile, anche per non laureati”. Peccato per il laureato Sibilia che quello è tutto fuorché un sillogismo. Insomma il Sibilia è uno che si distingue per le sortite assurde macinate negli anni e che lo hanno condotto ai piani alti del governo e della Repubblica. Capolavoro fu anche la proposta di “matrimonio omosessuale, di gruppo e tra specie diverse”, depositata sui siti del M5s: “Discutere una legge che dia la possibilità agli omosessuali di contrarre matrimonio (o unioni civili), a sposarsi in più di due persone e la possibilità di contrarre matrimonio (o unioni civili) anche tra specie diverse purché consenzienti”. Ma Sibilia non sta solo dietro un cellulare a twittare come un forsennato. Un tempo, insieme al compagno d’avventura Paolo Bernini, rimasto tristemente fregato e fuori dal Palazzo, andava ovunque ci fosse un Bilderberg da filmare e denunciare. Adesso quel ruolo tocca a Gianluigi Paragone, il Carlo Sibilia del 2018.
Laura Castelli
E’ chiaro che la pettinatura non fa il monaco, ma nel caso di Laura Castelli da Collegno, deputata trentunenne a Cinque stelle appena nominata viceministro dell’Economia nel governo giallo-verde, l’apparizione della frezza bionda su capello raccolto – sostitutivo del caschetto studentesco dei giorni grillini d’antan – segna il momento in cui la porta girevole ha fatto sparire l’ex pasionaria No-Tav, ora riconoscibile nei talk-show per le giacche sagomate e colorate che hanno preso il posto del giubbotto militaresco indossato durante i presidi valligiani. Castelli era considerata la dura e pura che nei dibattiti ostentava lo sguardo impermeabile di chi non sorriderà mai, neanche in caso di arrivo al governo. Invece al governo è arrivata, e oggi sorride anche sotto i riflettori. Lettrice di Platone per autodefinizione e “unica donna che sedeva al tavolo del contratto Cinque stelle-Lega” nelle definizioni altrui, con un passato di sinistra-sinistra (in Piemonte, dopo la laurea triennale in Economia aziendale, è stata assistente del consigliere regionale Mariano Turigliatto, eletto con la lista “Insieme per Mercedes Bresso”), la neo viceministro è salita a suo tempo sui tetti della Camera con “Dibba” (Alessandro Di Battista) per protestare contro la riforma costituzionale, ed era considerata vicina all’ala ortodossa di Roberto Fico. Ma tutto scorre, e anche le aree d’appartenenza non restano mai le stesse, tanto che oggi Castelli, a un certo punto considerata presunta fonte anonima anti-dimaiana del libro “Supernova”, scritto da Nicola Biondo e Marco Canestrari sui segreti a Cinque Stelle, è in prima linea proprio come braccio destro di Luigi Di Maio. Ma questo è nulla, forse, in confronto a uno dei dossier che le pioveranno sul tavolo: i 61 milioni delle compensazioni Imu-Ici tra Comune e governo.
Armando Siri
Doveva finire all’Economia, essendo lui il teorico della finta “flat tax” (finta perché in realtà le aliquote sono due, 15 e 20 per cento). L’hanno messo ai Trasporti, Armando Siri, già responsabile economico di Noi con Salvini, autore di un libro con una finta intervista a Berlusconi in cui il finto Berlusconi gli dà amorevolmente del pazzo e lui, il vero Siri, risponde con un risentito “dunque, Presidente, una battuta a proposito della mia presunta pazzia”. E via così. Nel 2001 Siri ha fondato il Pin – Partito Italia Nuova, il cui slogan pare preso in prestito a un gruppo di auto-aiuto: “Tu sei la chiave!”. E il Pin, si legge sul sito, è un “Partito Politico espressione di nuovo punto di vista. E’ un’energia nata dal Cuore per creare un nuovo modo di Pensare, dato dalla consapevolezza che il mondo fuori è la conseguenza di quello che siamo dentro, e se non ci assumiamo questa Responsabilità continueremo a lamentarci e basta, mentre tutto rimarrà uguale”. Da qui un “nuovo modo di intendere la politica, che non è una cosa dei politici che sono sempre gli stessi, ma di tutti i cittadini, soprattutto i giovani che hanno voglia di dimostrare che non tutto è perduto e che loro per primi hanno il compito di fare qualcosa per il loro presente e il loro futuro senza farsi divorare dal passato, che spesso è fatto solo di divisioni, scontri, liti ideologiche che non hanno più alcun senso. Una risposta al disagio, non più fondata su ciò che divide per poi dominarti (divide et impera), ma su ciò che unisce per avere la forza di cambiare”.
Luciano Barra Caracciolo
E’ stato tutto un fraintendimento. Il ministro per gli Affari europei Paolo Savona, su cui il presidente Mattarella aveva messo un veto per il Mef a causa delle sue posizioni contro la moneta unica, non è affatto un no-euro, lo ha spiegato di recente. E il cosiddetto Piano B di stampo golpista per l’uscita dall’Eurozona era solo un esercizio teorico e accademico, niente di serio. Come pure il paragone tra la politica della Merkel e il “Piano Funk” nazista era solo una provocazione intellettuale. A dimostrazione dell’elevato tasso di europeismo del ministero degli Affari europei, il ministro Savona verrà affiancato dal sottosegretario Luciano Barra Caracciolo. Uno che sostiene che “i Trattati europei uccidono la Costituzione italiana” e che “uscire dall’Euro porterebbe finalmente a una pace”, che paragona l’Unione europea al Terzo Reich e profetizza una nuova “Norimberga” contro i “collaborazionisti” del regime “eurista”. Secondo Barra Caracciolo uno degli alfieri di questa specie di €uro-nazismo è il presidente francese (“Il Piano di Macron? E’ il Piano Funk”, aridaje). Finalmente Barra Caracciolo, accompagnando il ministro Savona, potrà andare a Bruxelles a dire ai partner europei ciò che da anni sostiene: “Il documento von Ribbentrop (dal nome del ministro degli esteri nazista, ndr) sulla federazione degli stati europei – tolto qualche riferimento al Fürher, al reclutamento di nuove divisioni SS e di qualche altro dettaglio –, potrebbe essere tranquillamente trasposto su carta intestata della Commissione, come sintesi della strategia di scenario a sostegno dei vantaggi dell’euro”. Chi meglio di uno così agli Affari europei?