La “stretta” e la propaganda
La direttiva di Salvini ai prefetti sull’asilo temporaneo. Un po’ di numeri
Matteo Salvini ha inviato a prefetti, questori, commissione nazionale per il Diritto di asilo e presidenti delle Commissioni territoriali una direttiva che impone una stretta sui permessi di soggiorno concessi agli immigrati per motivi umanitari. Ha smentito “da papà” che la stretta riguardi donne incinte e bambini, come si era subito scritto, e ha gonfiato un po’ le cifre su questo tipo di asilo temporaneo (due anni): non si tratta del 40 per cento di risposte positive alle richieste, come il ministro dell’Interno ha detto, ma del 28. Questo in base ai dati del Viminale aggiornati al 15 giugno scorso. E’ comunque una cifra ragguardevole, se confrontata con il 7 per cento di concessioni di status di rifugiato, del 4 di protezione sussidiaria (coloro che pur non avendo i requisiti di profughi politici correrebbero rischi oggettivi in caso di rimpatri) e al 61 per cento dei rifiuti (spesso per irreperibilità del richiedente).
La direttiva segue un mese di non eccelsi rapporti tra Salvini e prefetti, dopo le dichiarazioni del vicepremier di voler puntare più sui sindaci (che sono cariche elettive) che non sui rappresentanti del governo sul territorio. Se comunque Salvini decidesse di sensibilizzare i sindaci per gestire il fronte interno dell’immigrazione, magari per aiutare l’integrazione utile anche all’economia, scoprirebbe che l’accordo con i comuni firmato dal predecessore Marco Minniti, che prevede la distribuzione su base volontaria in ragione di 2,6 immigrati per mille abitanti, non è stato accolto dai municipi retti soprattutto dalla Lega. La direttiva è certo nei poteri del Viminale. Peraltro rispetto al 2017, così come sono crollati gli sbarchi, si sono drasticamente ridotte (da 130 mila a 31 mila) le richieste d’asilo, mentre nel primo semestre sono aumentate del 19,5 per cento le pratiche smaltite. Che tuttavia rappresentano un terzo di quelle da trattare (133.218). Più che di strette c’è bisogno di velocizzare la burocrazia, anche tenendo conto che il 99 per cento dei rifiuti è seguito da ricorsi alla magistratura, che ha la parola finale. Il permesso umanitario non ha riscontro nelle leggi europee ed è una criticità riconosciuta recentemente dalla Cassazione. Più che moltiplicare le emergenze e l’insicurezza, sarebbe meglio chiedere alla magistratura.