Il gioco pericoloso della Lega
Usare il M5s per essere un argine al populismo. La strategia della tenzone
Il gioco della Lega, nella sbracata pantomima del governo, ormai è chiaro: alimentare costantemente la tensione per poi proporsi, quando tutto rischia di compromettersi irrimediabilmente, come agente di stabilizzazione, lasciando i compari grillini nel ruolo d’improbabili incendiari. Se ne è accorto anche Giovanni Tria, che dopo essere finito sotto la pressione incrociata di Di Maio e Salvini, proprio dal Carroccio si è visto offrire un punto di caduta accettabile sul Def. I leghisti l’hanno prima innescata, la guerra al Tesoro, e poi sono stati a guardare fin dove era disposto a spingersi il M5s, sposandone la linea oltranzista. Ma già puntando, in fondo, a offrire al Mef un compromesso realistico: e così è stato. Così era stato anche con la querelle su Paolo Savona. Quel nome lo aveva suggerito Giorgetti, che aveva poi lasciato che fossero i grillini a immolarsi sull’altare di mister piano B. E così mentre Di Maio invocava l’impeachment di Mattarella, il Carroccio concordava col Quirinale una via d’uscita, portando a casa la nomina di Tria. E poi, di nuovo, lo scorso agosto: fu Giorgetti a paventare la tempesta sui mercati, col risultato che il M5s entrò in fibrillazione mentre gli sherpa leghisti già dispensavano, sottotraccia, garanzie agli investitori allarmati. Del resto la Lega gioca sempre su un doppio tavolo, forte di una diplomazia parallela (e coordinata): perché se da un lato ci sono i neofiti scalpitanti fedeli a Salvini, poi spesso a risolvere i problemi sono gli uomini vicini a Giorgetti. Il capo del Carroccio lo sa, e se in piazza arringa le folle urlanti sfrutta però, nel Palazzo, questa credibilità riflessa. Gioco raffinato, ma anche rischioso: perché prima o poi ai Borghi o ai Bagnai, finora sostanzialmente neutralizzati, potrebbe prima o poi riuscire il colpo di mano. Meglio restare vigili.