Il 2,4 che non spendiamo, ma paghiamo
Salvini e Di Maio prevedono di abbassare il deficit. Ma non possono dirlo
Ora che anche il reddito di cittadinanza si avvia sulla strada – questa è l’ipotesi che prende sempre più consistenza – di una legge delega, appare evidente che Luigi Di Maio si sia convinto dell’inopportunità contabile, oltreché dell’impossibilità pratica, di lanciare la sua riforma più emblematica in tempi rapidi. “Difficilmente partirà prima di luglio, a questo punto”, ammettono i grillini. E dunque è improbabile che il provvedimento dreni più di 6 miliardi, a fronte dei quasi dieci stanziati in manovra. Stesso discorso sulle pensioni: a “quota cento” aderiranno, pare, solo il 70 per cento dei 400 mila lavoratori ipotizzati. Gli altri devono essersi accorti che le decurtazioni sarebbero pari al 20 per cento. E anche qui: due miliardi di risparmio.
Insomma, il governo grilloleghista sceglie la strategia dei disperati: rivedere al ribasso i margini di spesa senza però ammetterlo. “Il 2,4 per noi è il tetto massimo. Poi siamo disponibili a valutare un contenimento in corso di attuazione della manovra”, ha detto ieri il premier Giuseppe Conte, nel tentativo di rassicurare la stampa estera. Accogliendo, di fatto, la soluzione proposta anche da Giancarlo Giorgetti. Al che sarebbe lecito chiedersi perché Lega e M5s non decidano di rivedere il rapporto tra deficit e pil anche nelle stime ufficiali, anziché ipotizzare correzioni indefinite.
Sarebbe del resto il primo caso nella storia europea in cui i conti sul deficit li si trucca al rialzo, anziché al ribasso. Di solito la soglia massima del deficit veniva abbassata per prudenza, salvo poi chiedere margini di “flessibilità” in virtù di più o meno reali emergenze. Stavolta il contrario: si pone il 2,4 per cento come linea del Piave, si scatena la tempesta sui mercati, si innesca la fuga di capitali all’estero per poi dire che in fondo, forse, “potrebbe non esserci bisogno di raggiungere quel limite”.
La ragione di questa surreale strategia è tutta elettoralistica: i due vicepremier non vogliono passare per apostati. “Non cambiamo la manovra perché ci arriva una mail da Bruxelles”, ha ripetuto ieri Salvini. È evidente che questo 2,4 per cento ormai è diventato un feticcio proprio per chi invitava a non concentrarsi su quell’unico indicatore: a Di Maio e Salvini serve uno scalpo per la campagna elettorale. Se nel frattempo i bilanci dello stato vanno a ramengo, loro se ne fregano.