Il guaio del padre di Di Maio è il figlio
Non per il suo ruolo nell’azienda di famiglia, ma per le sue politiche al ministero
Secondo quanto avrebbe ricostruito “Le Iene”, l’impresa di famiglia del vicepremier Luigi Di Maio, avrebbe pagato in nero per qualche anno un suo operaio. La vicenda è stata raccontata in tv dallo stesso dipendente, Salvatore Pizzo, che non solo avrebbe lavorato in nero per l’impresa edile ora di proprietà del vicepremier e di sua sorella ma, dopo un infortunio sul lavoro, sarebbe stato convinto da Antonio Di Maio (il padre del ministro) a non denunciare l’incidente per evitare controlli e sanzioni. Il silenzio dell’operaio fu pagato con 500 euro – secondo quanto ricostruito da Repubblica – e con l’assunzione. Il ministro Di Maio – a differenza del condono della casa di famiglia – sull’impresa di famiglia non ha difeso il genitore, ma ne ha preso le distanze: “Mio padre ha fatto degli errori nella sua vita, e da questo comportamento prendo le distanze”. Ci sarebbe molto da dire su questa vicenda, sulle colpe dei padri che non dovrebbero ricadere sui figli, sull’utilizzo spregiudicato delle presunte colpe dei padri degli altri fatto dal M5s, sui moralisti che finiscono moralizzati. Se però il problema non è il moralismo ma il lavoro nero, allora la questione è un’altra: Di Maio junior è peggio di Di Maio senior.
L’imprenditore, alla fine, ha giocato con le regole usate da gran parte dei concorrenti in quella particolare zona e in quel particolare settore facendo cose più o meno regolari, ma con l’impatto che può avere una microimpresa. Il ministro è invece responsabile del Lavoro e dello Sviluppo economico di tutto il paese e le sue politiche, a partire dal decreto dignità per finire col reddito di cittadinanza, hanno un impatto peggiorativo sul lavoro nero infinitamente superiore. Prendiamo il caso in questione. Il dipendente di Di Maio voleva un contratto regolare, mentre il datore di lavoro no. Ma alla fine ha ceduto per paura delle possibili sanzioni. Con il reddito di cittadinanza non ci sarà contratto, perché il lavoro regolare non converrà a nessuno: l’imprenditore continuerà a non pagare i contributi, mentre l’operaio continuerà a percepire il sussidio (che perderebbe in caso di assunzione). Sul lavoro nero Di Maio non è responsabile per conto del padre, ma è colpevole per le sue scelte politiche.