Il Pd fa il M5s e il M5s segue la linea di FI. Il caso Salvini dà alla testa
Il capo della Lega graziato dalla giunta per le Autorizzazioni. Grillini contestati dai dem: “Onestà-onestà”. Un pomeriggio surreale
Roma. Esce Maurizio Gasparri con aria trionfante, e proclama: “Li ho gasparrizzati tutti”. Intanto loro, i senatori del Movimento cinque stelle che hanno appena salvato Matteo Salvini dal processo votando proprio la relazione di Gasparri, fuggono alla chetichella da un’uscita secondaria della giunta per le Autorizzazioni a procedere. Infilano la porta, e via. “Ma che, avete votato con Forza Italia?”, gli urlano quelli del Pd, “scappate, eh?”, “vergogna”, “onestà-onestà”, “buffoni”, e ancora: “Pecoroni”, “burattini”, “servi”. E poi il coretto lanciato da Davide Faraone, che sale su una colonna smozzicata di questo magnifico chiostro del Borromini, che deve aver assistito a vicende di ben altro valore: “E finisce sempre peggio / se decide Casaleggio”. L’inversione dei ruoli è completa. I grillini si fanno dettare la linea da Forza Italia, il Pd si trasforma nel Movimento cinque stelle e urla improperi, mentre i puri della scatoletta di tonno fuggono come Craxi sotto le monetine. Solo Michele Mario Giarrusso, il senatore grillino, sfida i contestatori. E allora si fa avanti con spavalderia, avanzando come un Papa avvolto in questa sua giacca di cachemire morbidissimo, di un blu che la luce rende elettrico e in certe angolazioni iridato. Fa il gesto delle manette ai renziani. “Non prendiamo lezioni da chi ha parenti agli arresti”, dice. Così un vecchietto, confuso tra la folla di curiosi, gli si avvicina. “Bravo”, gli dice. “Il Pd ha rovinato l’Italia”. Solo che il vecchietto gli tocca la cospicua giacca, e allora Giarrusso, grande grande e tombolotto com’è, spicca un salto all’indietro tipo Nadia Comaneci: “Fermooo, me la gualcisciiii”. Il popolo e la casta anticasta. Una specie di apologo surreale.
Un cronista di grande esperienza racconta, con malcelata nostalgia, di quella volta che Giulio Andreotti varcò la soglia della giunta per le Autorizzazioni a procedere del Senato. Proprio questa stessa porta verde (“veniva giù il mondo. Era il processo del secolo. E lui, gobbo, e sornione sprizzava intelligenza… anche un po’ diabolica”).
Adesso la soglia la varca il grillino Francesco Urraro, di San Giuseppe Vesuviano. L’aria un filo compiaciuta. Lo sguardo compreso. Sembra uno che sta per dirti una roba serissima. Questa: “Votiamo in piena libertà e coscienza, guardando le carte”. Accorrono i microfoni, e non si sa perché. Urraro ha un sorriso appena accennato in una contenuta adorazione di sé mentre finisce sommerso in un groviglio di cavi e cavetti, telecamere che rotolano e bestemmie. E’ sorpreso. Gli deve sembrare di essere George Clooney al Festival di Venezia. “Come vi dicevo il nostro è un voto consapevole e in coscienza”, ripete il senatore. Quindi potreste anche votare a favore dell’autorizzazione a procedere per Salvini? “No, certo che no. Ha deciso Rousseau”, risponde con naturalezza logica. E questo mentre lo sguardo gli plana su una scolaresca di Treviso in gita. I ragazzi del liceo artistico sono basiti. Erano venuti per Borromini. Hanno trovato gente che urla. Cartelli. Almeno dieci telecamere. Mattoidi che filmano e fanno domande fingendo di essere giornalisti. E politici che sembrano Cetto La Qualunque. A un certo punto arrivano pure i vigili urbani. “Cos’è un reality?”. E forse tutti questi dettagli formano un insieme pazzotico eppure coerente.
La giunta respinge l’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini con sedici voti contro sei, quattro del Pd, uno di Pietro Grasso e uno di Gregorio De Falco, il senatore espulso dal M5s: “Per questa storia di Salvini mi hanno fatto il processo nel Movimento cinque stelle”, dice. “Ma io sì che ho votato con coscienza. E guardando solo le carte”, aggiunge, in tono dimesso. Solo Gasparri è davvero raggiante, “fossi stato un grillino non mi sarei fatto gasparrizzare così facilmente. Potevano fare un gesto identitario”. Contro Rousseau? Contro la democrazia diretta da Casaleggio? Chissà. Entro un mese voterà anche l’Aula. Intanto a Palazzo Madama, tra gli arazzi del Senato, il vecchio Ignazio La Russa sfoglia i giornali, e ride, “per far cadere questo governo sai che ci vorrebbe? Un meteorite. Anzi due. Uno dovrebbe colpire Salvini e uno Di Maio. Altro che elezioni anticipate. Il governo ha i secoli contati”.