Per il governo la famiglia non è un bonus
Slogan e proclami, poi si tolgono i soldi per baby-sitter e asilo. Ahi
Una settimana fa il governo del cambiamento litigava su Verona. Con il “tradizionalista” Matteo Salvini che orgoglioso rivendicava la sua presenza al Congresso mondiale delle famiglie: “Sono qua a sostenere col sorriso una giornata di festa, il diritto a essere madre, a essere papà e a essere nonni. La necessità dell’Italia di mettere al mondo dei figli”. Tutto molto bello, a parole. Perché per realizzare l’immagine bucolica di un’Italia piena di figli non bastano gli slogan, servono le politiche. E il governo del cambiamento non sta andando esattamente nella direzione indicata dal vicepremier. Qualche giorno fa l’Inps, con un comunicato, ha ufficializzato che, secondo quanto previsto dalla legge di Bilancio, “il contributo baby-sitting o asilo nido non è stato prorogato per il 2019”. Si trattava di una misura, introdotta nel 2012 (governo Monti) e successivamente prorogato nel 2016 (governo Renzi) che prevedeva un contributo mensile di 600 euro, per un massimo di sei mesi, da dare a quelle mamme che, rinunciando al congedo parentale, volevano tornare prima al lavoro. I soldi potevano essere utilizzati per l’appunto o per servizi di baby sitting o per pagare l’asilo nido. Il governo gialloverde ha deciso di non prorogarlo preferendo aumentare di 500 euro, da 1.000 a 1.500 euro, il cosiddetto bonus asilo, un contributo annuale per il pagamento della retta. In compenso, da ieri, per volontà del ministro dell’Interno, nel modulo per la richiesta della carta d’identità per i minori, è tornata la dicitura “padre” e “madre” al posto di “genitore 1” e “genitore 2”. Chiamateli pure come volete, siamo sicuri che sia i primi sia i secondi abbiano perfettamente capito che i 3.600 euro persi sono molti di più dei 500 guadagnati.