Foto LaPresse

Moderatamente spread

Redazione

L’impeachment, la festa sul balcone, i gilet gialli. Un anno del moderato Di Maio

Quando il gioco si fa duro, i duri diventano moderati. Da quando Luigi Di Maio ha annunciato la svolta, un intero establishment politico-editoriale ha iniziato a scoprire l’attitudine da statista del vicepremier. Intanto, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha suonato una nota stonata. Lo spread “è sopra i 270 punti base, più del doppio del livello di inizio 2018, prima delle elezioni politiche”. Questo mette a repentaglio le finanze pubbliche e crea problemi di accesso al credito per famiglie e imprese. Visco è stato molto gentile a prendere come riferimento il periodo pre-elettorale, ma la data clou non è il 4 marzo 2018: è un paio di mesi dopo, quando escono le bozze del “contratto per il governo del cambiamento”. Da allora in effetti c’è stato un cambiamento, le cose non sono mai più tornate come prima. Il motivo è che, a differenza di Rep. e del Corriere, i mercati non trovano del tutto rassicurante la figura di Di Maio. Sarà perché i mercati sono “irrazionali”. Ma più probabilmente sarà perché gli investitori ricordano di quando Di Maio promise che, in un eventuale referendum per l’uscita dall’euro, avrebbe votato sì (settembre 2017). O di quando voleva incriminare il presidente della Repubblica: “Occorre l’impeachment di Mattarella per evitare reazioni della popolazione” (maggio 2018). Oppure di quando minacciò di non versare più i contributi all’Unione europea (agosto 2018). O, ancora, di quando alzò la voce col ministro Tria per blindare il deficit al 2,4 per cento (settembre 2018) e poi andò a festeggiare sul balcone l’“abolizione della povertà”. Oppure di quando andò con Dibba in auto a Strasburgo per proporre la chiusura della sede del Parlamento europeo. O forse di quando andò a incontrare i gilet gialli che stavano devastando Parigi (“non mollate”, febbraio 2019), causando il ritiro dell’ambasciatore francese. Di Maio è sicuramente un moderato, e lo testimonia l’intervista su Rep. (nella quale, incidentalmente, ribadiva l’accusa di “taxi del mare” alle Ong appena scagionate sia a Palermo sia a Catania). Quello del vicepremeier è esattamente l’atteggiamento che avrebbe avuto uno statista come De Gasperi, chissà perché gli investitori pensano il contrario.

Di più su questi argomenti: