Appendino caduta dalla Cavallerizza
L’incendio di un bene Unesco tuttora occupato dai benecomunisti
Non proprio l’incendio di Notre-Dame – 250 metri di tetto bruciati, allarme subito rientrato – ma pur sempre un sito tutelato dall’Unesco, un pezzo di storia d’Italia: la Cavallerizza Reale nel centro di Torino, che va in fumo. E un altro simbolico finale di partita per la disastrosa sindacatura di Chiara Appendino, dallo sciagurato no alle Olimpiadi allo spaesamento della amministrazione sulla Tav, a Piazza San Carlo e ai pasticci di bilancio e trasparenza. Ma la Cavallerizza (che già nel 2014 aveva subìto un incendio risultato doloso, quello di ieri potrebbe essere solo frutto di incuria e abbandono), un posto simbolico importante ce l’ha: nella (in)azione politica della sindaca a cinque stelle e nell’ideologia benecomunista che paralizza la sua giunta. Edificio storico, dal 2010 il complesso bisognoso di cure è proprietà per metà di Cassa depositi e prestiti e per metà, quella in cui si è sviluppato l’incendio, di un fondo della Città di Torino.
Piero Fassino aveva promosso un piano di riqualificazione preservandone la funzione pubblica destinata alla cultura (una parte del complesso confina col Teatro Regio e con l’Auditorium Rai), con una galleria per mostre, residenze universitarie e case-bottega per giovani creativi. Nel 2016 era arrivato il via libera del Cipe e un finanziamento di 15 milioni di euro. Soltanto che nel 2015 la Cavallerizza è stata occupata da qualche decina di benecomunisti-artisti – storia simile al Teatro Valle di Roma – per impedirne la vendita a privati e la realizzazione di un hotel di lusso. Né la vendita né la privatizzazione erano previste, ma gli occupanti sono ancora lì. Nel frattempo due terzi del mandato di Appendino se ne sono andati, senza che la giunta, che aveva annunciato di voler ripensare e ri-decidere sull’uso benecomunista della Cavallerizza, sia riuscita a venirne a capo. L’assessore all’Urbanistica Antonino Iaria ha detto che “per il rilancio della Cavallerizza ci eravamo dati l’obiettivo di chiudere per il 31 ottobre lo studio per dare una vocazione alle aree del complesso”. Un po’ tardi e un po’ poco, per un bene dell’Unesco regalato al degrado e a un’occupazione immotivata, ma tollerata per connivenza con una parte del proprio elettorato di riferimento.