Non siamo a Pechino. Seconda parte
La politica italiana scopre improvvisamente che la Cina non è democratica
"Alcuni politici italiani” hanno fornito “una piattaforma per un separatista ‘pro indipendenza’ di Hong Kong” e avrebbero così “appoggiato la violenza e il crimine. Si è trattato di un grave errore e di un comportamento irresponsabile per cui siamo fortemente insoddisfatti ed esprimiamo la nostra più ferma opposizione”. Questo è il comunicato che ha diffuso oggi l’ambasciata cinese a Roma. I “politici italiani” sono accusati di aver partecipato a una conferenza che si è svolta giovedì al Senato e in cui è intervenuto in collegamento Joshua Wong, leader del partito pro democrazia di Hong Kong Demosisto. L’incontro “Hong Kong, la libertà di tutti. La posizione dell’Italia”, che si è svolto nella Sala Caduti di Nassirya del Senato, è stato un momento di dibattito per le istituzioni su un tema molto delicato come quello delle proteste a Hong Kong.
Insomma, per essere chiari, non era un rocambolesco endorsement sul confine francese con forze antisistema. Perché si può discutere di politica, si può dialogare sul merito, ascoltare vari punti di vista, ma una sede diplomatica non può arrivare ad accusare di “gravi errori” e di “comportamenti irresponsabili” quando parliamo di parlamentari che non hanno fatto altro che svolgere un dibattito, cioè una parte essenziale dell’esercizio democratico di un paese (sovrano). L’attacco dell’ambasciata è stato condannato da tutti, dai presidenti di Camera e Senato, perfino dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio: “I nostri legami commerciali non possono assolutamente mettere in discussione il rispetto delle nostre istituzioni”, ha detto, e forse ha appena realizzato che otto mesi fa con Pechino ha firmato un accordo più politico che commerciale. Lo scorso weekend Beppe Grillo, il garante dei Cinque stelle, cioè l’unico partito i cui membri non hanno partecipato alla conferenza con Joshua Wong, ha incontrato per due volte l’ambasciatore cinese, quello che oggi accusa altri parlamentari italiani (proprio come a marzo aveva intimato al Foglio di “smetterla di parlare male della Cina”). Un giorno il leader del M5s, Di Maio, dovrà spiegarci se anche con Grillo, il loro, è “solo un rapporto commerciale”.