Manovra in folle

Redazione

La legge di Bilancio non è dannosa ma non risolve i problemi. E’ ora di cambiare

Le legge di Bilancio esce dal Senato con un voto di fiducia “blindato”, che cioè impedirà qualsiasi modifica alla Camera. Un grande classico, ed è ipocrita scandalizzarsene, come la Lega che un anno fa al governo fece lo stesso. Sarebbe anche onesto ammettere che la legge è meno dannosa di quella gialloverde che in un colpo solo introdusse reddito di cittadinanza e quota 100, dopo il decreto dignità, i festeggiamenti per lo sforamento del deficit e lo sconquasso sui mercati. Far meno danni non significa però che la manovra sia positiva. Basta vedere al suo svolgimento: il sipario si era alzato sulla plastic tax, presentata come epocale svolta verso un Green New Deal, ed è calato sulla inammissibilità della ri-liberalizzazione della cannabis light. La tassa sulla plastica, dopo la rivolta delle aziende, soprattutto emiliane, si è ridotta da 1,079 miliardi di gettito a 0,14 (calcoli della Ragioneria dello stato), mentre la questione cannabis è stata dichiarata inammissibile dalla presidenza del Senato.

 

Basterebbe questo a dire della lontananza dai problemi cruciali di questa legge di Bilancio, mentre il resto del mondo gira su altre orbite e ad altre velocità: Brexit, guerra dei dazi Usa-Cina, riconversione mondiale dell’auto, riforma dello stato sociale in Francia, Libia in bilico e Italia assente, cambiamenti nella governance europea e della Bce. Nulla di tutto ciò ha trovato riscontro nella legge di Bilancio e neppure nel dibattito politico. Invece si è fatto cagnara sul Mes, argomento pacifico e irrilevante per il resto d’Europa, che invece qui stava spezzando il governo e comunque l’ha piegato alla propaganda sovranista con inutili richieste di rinvio. Le questioni vere hanno provato a farsi spazio: il mercato globale (Fca-Peugeot) e i sempre più diffidenti investimenti stranieri (Alitalia e Ilva), un sistema bancario spaccato tra standard europei (Intesa, Unicredit) e fallimenti provinciali (Popolare di Bari), il grado di rischio dei titoli di stato. Non hanno meritato neppure un comma, pur avendo dominato l’agenda politica e sociale; cosa che continuerà nell’anno a venire. Un governo che non affronta i problemi, ma se li vede cadere addosso, non ha un grande futuro. E’ ora del famoso cambio di passo.

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