Il pericoloso detonatore del referendum
Far cadere il governo per non tagliare i parlamentari? Follie no, grazie
La richiesta di referendum da parte di 64 senatori che vogliono una consultazione popolare sulla conferma o meno della riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari non è facile da spiegare. Nell’ultima lettura, alla Camera, la riforma ha ottenuto una maggioranza oceanica, che comprendeva pressoché tutti i partiti, coscienti della popolarità dell’argomento “anticasta” che era sotteso alla riduzione delle “poltrone” (e consapevoli che in fondo è dal 1983 che i partiti cercano di tagliare il numero dei parlamentari). Invece un gruppo consistente di senatori, soprattutto di Forza Italia e del Pd, ha firmato la richiesta di referendum, che avrebbe l’effetto, in caso di elezioni anticipate, di posticipare l’effetto della riforma.
E’ evidente che non è stata la questione di merito al centro dell’iniziativa, che solo i promotori iniziali hanno davvero sostenuto sulla base di considerazioni sulla qualità della rappresentanza. L’atto politico, invece, ha un significato del tutto diverso: punta a stimolare parlamentari che rischiano di non essere rieletti (anche per la diminuzione dei posti disponibili) a forzare la situazione e portare a elezioni anticipate. E’ significativo il commento di Matteo Salvini, che pur avendo sempre votato a favore della riforma, ora si dice lieto che il giudizio finale spetti al popolo. Far saltare il quadro solo per la speranza di lucrare qualche seggio in più in un Parlamento destinato a restare difficilmente governabile è una sciocchezza. Tutti sanno che la legge sarebbe confermata al referendum, che ha quindi solo una funzione strumentale ad altri scopi. Se si può capire uno sfaldamento della maggioranza su questioni decisive, come per esempio la questione della durata dei processi resa eterna dall’abolizione della prescrizione, risulta invece incomprensibile e persino intollerabile che il detonatore sia un miope calcolo, forse anche sbagliato, sulla difesa di qualche posizione di “potere”.