Il guaio del 5G lasciato in mano ai sino-proni Cinque stelle
Non è soltanto una questione di prezzo. E’ una scelta politica che influenzerà la nostra politica estera per sempre
Roma. La priorità è il 5G. Lo dicono al Foglio fonti vicine all’Amministrazione americana riguardo alla politica italiana e alle decisioni che si prenderanno nei prossimi mesi sulle infrastrutture strategiche. Non fosse abbastanza chiaro, basterebbe guardarsi attorno, e seguire i dibattiti politici non tanto in estremo oriente, ma anche più vicino a noi. In Europa, per esempio. Perché le gare per l’accesso alla prossima rete 5G – cioè l’infrastruttura che modificherà per sempre il modo con cui useremo le connessioni virtuali – non sono soltanto una questione tecnica, e neanche puro business. Non è un memorandum d’intesa, peraltro a termine, ovvero una scatola vuota con la quale aderire a un progetto politico d’influenza strategica – che finora ha avuto poche e significative conseguenze strategiche, ma è stato soprattutto un favore (gratuito) alla propaganda di Pechino. E invece il 5G, e chi ne farà parte, si è trasformato anche in una scelta politica. Una scelta che condizionerà la nostra politica internazionale nei prossimi decenni. Ed è per questo che bisognerebbe essere allarmati dalla confusione manifestata dagli esponenti del governo italiano, e dalle esternazioni dei difensori delle aziende di telecomunicazioni cinesi – rappresentanti del M5s erano presenti a ogni manifestazione pubblica di Huawei e Zte fino a pochi mesi fa, quando il pressing atlantista ha fermato nuove uscite pubbliche di politici pentastellati al fianco dell’ambasciatore cinese in Italia e del ceo di Huawei Thomas Miao.
Ma a parole il Movimento conferma la simpatia: in un’intervista alla Stampa pubblicata domenica, il ministro pentastellato dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha usato una frase semplice e a effetto sul tema. Ha detto che “Huawei offre soluzioni migliori ai prezzi migliori. Non si può sventolare la bandiera del libero mercato con una mano e quella del protezionismo dall’altra”. E’ una semplificazione utile alla propaganda elettorale, meno al dibattito politico. Perché la Casa Bianca sarebbe pronta a prendere in considerazione “contromisure” con quei paesi, anche alleati, che abbiano un’infrastruttura internet a rischio. E il tema del 5G è stato al centro dell’ultima riunione della Nato, perché un sistema che funziona è un sistema in cui ci si fida, almeno nelle comunicazioni. In quell’occasione, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva detto al presidente Trump di avere introdotto “la migliore legge europea” sul golden power, che permette teoricamente di bloccare gli investimenti stranieri giudicati a rischio, ma è uno strumento arbitrario usato da un governo in carica – insomma, non abbastanza rassicurante. E’ anche in questa chiave che va letta l’attenta relazione del Copasir sulla cybersicurezza della scorsa settimana.
Dopo un anno di indagini, il Copasir dice chiaramente che il libero mercato è sacrosanto, ma gli strumenti messi in campo dal governo italiano sono deboli, insufficienti, che le aziende cinesi non sono mai al cento per cento private e che Pechino, con le sue aziende strategiche, sta facendo dumping. Vuol dire che offre servizi “che in qualche caso giungono a presentare prezzi sensibilmente inferiori rispetto a quelli proposti dai concorrenti europei”. La “giustificazione” di Patuanelli suona molto familiare: il 7 febbraio scorso dopo un articolo pubblicato sulla Stampa, l’allora ministro del Mise Luigi Di Maio si affrettò a smentire “l’intenzione di adottare qualsiasi iniziativa su una presunta messa al bando delle aziende Huawei e Zte dall’Italia in vista dell’adozione della tecnologia 5G. La sicurezza nazionale è una priorità e nel caso in cui si dovessero riscontrare criticità – al momento non emerse – il Mise valuterà l’opportunità di adottare le iniziative di competenza”. Adesso che le criticità sono emerse, Patuanelli usa la stessa argomentazione che il Copasir vede come una criticità, un’argomentazione popolare tra i morti di fame, quella del: “costa poco”. Senza un adeguato coordinamento tra telecomunicazioni, infrastrutture e servizi segreti, è un salto nel buio. Gli esempi ci sono: Francia e Germania già da tempo hanno escluso di voler tenere fede al principio del libero mercato, ma hanno già da tempo funzionanti sistemi di controllo e monitoraggio – e non solo nel campo delle tecnologie. Al vertice Nato il primo ministro inglese Boris Johnson – pur molto amico di Xi Jinping – ha detto di essere pronto a un ban di Huawei se la sua partecipazione al 5G inglese mette in pericolo il Five Eyes, l’alleanza di intelligence tra paesi anglofoni.