Lui non è Cincinnato, ma nemmeno Flavio il Temporeggiatore. Matteo Salvini scavalca l’anno – anzi, il decennio: anche lui non è proprio un novellino della politica – offrendo l’impressione di non voler imparare dagli errori del passato: abbandonare la fretta arrogante di fare il gran passo verso i poteri unici. E soprattutto acquisire la capacità di rispondere nel merito, che ancor più della pazienza dovrebbe essere la stoffa di un leader. Salvini continua a preferire lo stile di rispondere parlando d’altro, spostandosi sempre sul lato della comunicazione-propaganda. Persino quando il compito dovrebbe essere facile, come commentare in modo ecumenico, indolore persino per il suo partito, il discorso del capo dello Stato. Lo ha fatto con accortezza persino Giorgia Meloni. Invece Salvini l’ha buttata sulla Maria Vergine, mai così fuori luogo, ma soprattutto sulla fretta impellente che la propaganda assegna alle cose impossibili, consentendo di parlare per temi generali, cosa che non costa niente: “Le mie magari sono parole scomode”, ha commentato. “A Capodanno bisogna magari fare discorsi più melliflui, più incolori, più indolori, più insapori. O facciamo in fretta, o questo paese si spegne. Farò tutto quello che è umanamente possibile, con l’aiuto di Dio e del cuore immacolato di Maria, per restituire agli italiani lavoro, serenità e sicurezza, alle famiglie speranza e futuro, ai giovani certezze e diritti, nel nome del valore supremo della libertà, oggi troppo spesso negata. Appena gli incapaci al governo toglieranno il disturbo e gli italiani potranno tornare a votare, noi siamo pronti a prendere per mano il paese”.
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