Costa spiega l'appello al Parlamento per stracciare la legge Bonafede
Il deputato di Forza Italia ha firmato la proposta per superare la revisione della prescrizione. Si vota il 27 gennaio. Fate presto
Al direttore - Il ministro Bonafede è il meccanico che, di fronte all’oggettiva lentezza dei processi, anziché riparare il motore della macchina della giustizia, con una riforma organica che garantisca la certezza della pena e l’abbattimento dei tempi, preferisce tagliarle i freni, abolendo la prescrizione. Così legittima la dilazione infinita dei procedimenti, e cancella, assieme ai limiti temporali, ogni strumento acceleratorio, e qualunque termine ultimo entro cui, in ogni caso, il calvario giudiziario dell’incolpato si concluderà. Ma così, il nostro sistema penale è destinato a schiantarsi, in un incidente in cui ad avere la peggio saranno le garanzie costituzionali, la presunzione d’innocenza, i diritti e le libertà dei cittadini. Questa metafora cela una realtà semplice e a aberrante.
La prescrizione quasi sempre matura per negligenze o problemi organizzativi degli uffici giudiziari – lo dimostrano le diverse percentuali di procedimenti prescritti in vari tribunali del paese (in alcuni fori si prescrive il 50 per cento dei reati, in altri il 3 per cento) che pure hanno uguali dotazioni di organico e risorse – e non per presunte condotte dilatorie degli avvocati. Si pensi che il 65 per cento delle prescrizioni matura durante le indagini preliminari, quando la difesa non tocca palla. Il decorso del termine di prescrizione funge da “spia”, da fattore acceleratorio, affinché gli inquirenti e giudici giungano ad accertare, o escludere, la responsabilità penale entro un lasso temporale considerato congruo dal legislatore. Invece, sospendendo sine die il decorso della prescrizione, verrà meno ogni scansione cronologica, aprendo le porte a un processo a-temporale, suscettibile di dilatarsi anche all’infinito, e in cui nessuno potrà più essere responsabile per ritardi o inerzie. Ciò vuol dire uno slittamento indeterminato dell’accertamento della responsabilità, o dell’innocenza, degli incolpati. Vuol dire, in altri termini, dare cittadinanza a quella che, per la tradizione dello stato di diritto, per la presunzione di non colpevolezza, per la tutela della dignità della persona è una barbarie giuridica: la sottoposizione eterna alla pretesa punitiva dello Stato, l’ergastolo processuale.
La riforma Bonafede considera l’appello un fastidioso ostacolo dilatorio. Ma l’appello riveste una fondamentale funzione se ben il 48 per cento degli appelli riforma le sentenze di primo grado. Ma il problema, purtroppo, va ben oltre. Mentre scivolano in futuri lontani e nebulosi le sentenze definitive, soprattutto quelle di assoluzione, vengono invece alla ribalta i titoli dei giornali, le conferenze stampa degli inquirenti (in cui si illustra la sola voce dell’accusa, in assenza della difesa), i lanci di agenzia, le misure cautelari. Tutti elementi che nella società della “velocità” e della sovraesposizione mediatica conquistano gli spazi della comunicazione, catalizzano l’attenzione del pubblico e instillando il pre-giudizio creano un danno all’immagine incalcolabile al soggetto sottoposto all’indagine, rispetto al quale questi non ha alcuna difesa. Dovrà aspettare i tempi lunghi del processo, per vedere affermata, eventualmente, la propria innocenza: ma questa uscirà verosimilmente in un momento in cui la vicenda non fa più notizia, e non avrà più sui mezzi di comunicazione la stessa eco, che aveva avuto il fatto “scabroso” dell’indagine, dell’arresto, della prima condanna. E così, a guardar bene, a passare in giudicato davanti all’opinione pubblica non sarà la sentenza finale, ma il titolo del giornale.
Da qui, si capisce perché la soppressione de facto della prescrizione sia una disgrazia: la riforma Bonafede non è solo una bandierina che il M5s sventola per dimostrare di esistere. Ma ma un’arma vera e propria che colpisce in pieno petto il nostro processo, rischiando, se non interverremo fulmineamente, di farlo morire dissanguato. Tocca al Parlamento agire. Se il 27 gennaio i deputati accoglieranno il nostro appello, si potrà salvare il processo e ripartire tutti insieme per lavorare senza steccati ad una grande riforma della giustizia. Noi ci saremo.
Enrico Costa è deputato di Forza Italia