editoriali
Il caso lombardo
In Lombardia qualcosa è andato storto. E la crisi sanitaria può diventare politica
Milano resta in prognosi riservata. Mentre in Lombardia c’è stato un clamoroso fallimento della medicina territoriale, ammettiamolo per il futuro”. Parole del prof. Massimo Galli, direttore di Scienze biomediche dell’ospedale Sacco. Dunque l’Italia ha un serio problema con quella che è stata finora il suo gioiello nella sanità? Dai due appuntamenti giornalieri con la regione e la Protezione civile, e passata l’ondata iniziale sul nord, si assesta una tendenza. La Lombardia ha non solo fin qui registrato quasi il 40 per cento dei casi totali (infetti, guariti, dimessi e deceduti), ma continua a detenere il record degli infetti attuali (32.407), e ancora più il loro trend che determina il raggiungimento dell’obiettivo di discesa dei contagi e la possibile uscita dal lockdown: ieri il 3,2 per cento rispetto allo 0,6 di tutta Italia. Altri due indicatori fotografano la situazione: alla fine del weekend pasquale su 4 tamponi in Lombardia 1 è risultato positivo, rispetto a 1 su 7 nazionale, 1 su 27 del Veneto, 1 su 31 del Lazio, 1 su 20 della Campania. Certo, la Lombardia è il cuore pulsante e affollato d’Italia come altrove New York, Londra, Parigi. Ma un’altra elaborazione quotidiana basata su sistemi sanitari e università di tutto il mondo, compresa la Bocconi, evidenzia il tasso di letalità del Covid-19 per macroaree: Lombardia 18,1 per cento; New York 3,9; Comunidad de Madrid 13,3; Parigi e Île-de-France 12,6; Grande Londra sotto l’1.
Quando uno scienziato come Galli parla di fallimento a cosa si riferisce? Per amministratori in prima linea la suscettibilità è ovviamente massima. Ma in sintesi due gestioni dello stesso partito, la Lega, hanno affrontato la pandemia in due modi diversi: in Lombardia riempiendo gli ospedali, in Veneto cercando gli infetti sul territorio con meno eccellenze pubblico-private ma grazie a una rete capillare. I risultati sono evidenti. Dalla Lombardia passa gran parte del pil italiano. I suoi imprenditori reclamano di ripartire prima che i concorrenti sottraggano mercati e ricchezza, ma sono prigionieri di una regione che a sua volta imprigiona l’Italia. E questo, oltre che un guaio sanitario, può diventare un caso politico.