foto LaPresse

editoriali

Di Maio e i guai di una dottrina ubriaca

Redazione

La Farnesina è ormai piegata su Pechino. Smettiamo di far finta che sia normale

Pensiamo con la nostra testa, dice il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. In un’intervista al Corriere della Sera (forse non a caso a pagina quindici), l’ex leader dei Cinque stelle ripete come un disco rotto la linea di politica estera promossa dal Movimento, che potremmo battezzare come “la dottrina ubriaca”: siamo atlantisti, stiamo con la Nato, con la Ue, però anche con la Cina. Ma Trump accusa la Cina di aver provocato la pandemia: “Non voglio entrare nel merito. Ci affidiamo alla scienza” (risponde l’ex capo del partito degli antivaccinisti). Come fa un ministro a scappare così smaccatamente a una domanda cruciale? L’intervistatore insiste: ma guardi che mezzo mondo sta chiedendo un’indagine internazionale sull’origine del virus. E’ una fase di politica internazionale delicatissima, l’Italia da che parte sta? Di Maio non afferra, e risponde: sì, ma l’Italia è stata trasparente. Alcuni stati hanno annunciato addirittura azioni legali contro la Cina: “Ma vede non è questo il punto”. E invece è proprio questo il punto. Di Maio trova “francamente singolare anche solo parlare” della sua amicizia con la Cina, ma è questa la responsabilità di un ministro. Perché continuare a dichiararsi atlantisti non serve, se nelle parole e nei fatti ci si comporta come un funzionario di Pechino. E poi il capolavoro di strategia politica: se le tensioni aumentano, l’Italia che fa? “Speriamo non aumentino”.

 

Il paragone con la Francia e la Germania – ce l’avete con noi e la Via della Seta, perché non con loro?, ripete di continuo – non regge: Francia e Germania fanno più affari di noi con la Cina, ma solo noi ci siamo trasformati nel fiore all’occhiello della propaganda cinese. Parigi e Berlino hanno posto dei limiti invalicabili, specialmente su un argomento che Di Maio non ha mai neanche sfiorato: i diritti universali dell’uomo. Su Hong Kong, su Taiwan, sulle responsabilità in questa pandemia. L’unica cosa che hanno in comune Mike Pompeo e il presidente cinese Xi Jinping – visto che per i Cinque stelle sono intercambiabili – è che di entrambi Di Maio ha sbagliato il nome. Un ministro degli Esteri che parla così e che ragiona così mette in pericolo la nostra posizione nel mondo e il nostro rapporto con l’America.

Di più su questi argomenti: