Giancarlo Giorgetti si è irritato molto per l’invettiva di Riccardo Ricciardi, un parlamentare dei 5 stelle che aveva dileggiato gli sforzi della Sanità lombarda. Ha ragione a chiedere che soprattutto in una situazione così grave per i cittadini non si alzino i toni al di sopra di un diapason accettabile. Dovrebbe però riflettere sul fatto che anche parlamentari leghisti si sono esibiti in analoghe tirate, da quello che ha accusato una ragazza sequestrata di essere una terrorista a quello che ha definito spregevole l’azione del governo italiano in Europa. C’è una certa simmetria nelle esibizioni degli elementi più estremisti dei due “populismi” e questo a Giorgetti non dovrebbe sfuggire. Al di là del bilancio delle figuracce, va rilevato che la preoccupazione di Giorgetti è tutta politica: “Se uno si sforza di portare la discussione su un tono civile e l’esito è questo qua… Io non capisco davvero a che pro, a cosa serva”. In sostanza Giorgetti teme che l’esasperazione polemica distrugga lo spazio, poco o molto che sia, per un dialogo politico. Questo è un problema non nuovo. Solo la distanza di tempo porta a descrivere la dialettica politica del passato come una specie di gioco di fioretto: non erano di quel tipo per esempio molti discorsi di Giancarlo Pajetta (che però era un eroe dell’antifascismo) contro la Dc o gli attacchi anticomunisti che venivano dall’altra sponda. Però, nonostante tutto, lo spazio per la politica restava aperto. Naturalmente conta molto la condizione di campagna elettorale permanente, che sussiste persino in una fase come questa.
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