Non pago della declaratoria di incostituzionalità che qualche settimana fa ha travolto la norma salva-comuni del decreto “Crescita” varato nell’aprile 2019, il governo vuole sfruttare la pandemia per inserire nel cosiddetto decreto “Semplificazioni” un nuovo deflagrante strumento per aggirare la recente pronuncia della Corte costituzionale (n. 115/2020). La Consulta aveva censurato meccanismi volti a manipolare il risultato di amministrazione di un ente locale in stato di pre-dissesto allo scopo di posticiparne il consolidamento in un futuro incerto. I meccanismi in questione consentivano agli enti locali che avessero già approvato un piano di riequilibrio di rimodularlo, spalmando il rientro su più esercizi e disaggregando il risultato di amministrazione in “bilanci ombra”, ritagliandosi così uno spazio per nuova spesa corrente da alimentare con anticipazioni di liquidità, ossia con nuovo indebitamento. L’altolà della Corte costituzionale alla norma che reiterava questi meccanismi ha spinto ora il governo a intervenire direttamente sui controlli della Corte dei conti, sospendendoli. Come dire che, quando la febbre continua a salire, è meglio ostacolare chi usa il termometro e vuole prescrivere nuove cure per abbassarla. La bozza del decreto-legge, approvato “salvo intese”, reca infatti all’art. 14-bis un insieme di disposizioni motivate dalla “situazione straordinaria di emergenza sanitaria” volte a modificare il Testo unico enti locali allo scopo di impedire fino al 30 giugno 2021 la dichiarazione del dissesto di enti locali che abbiano presentato il piano di riequilibrio tra 2018 e 2019, di sospendere i procedimenti di dissesto in corso, nonché tutti i provvedimenti adottati nel contesto del monitoraggio sui piani di riequilibrio, tra cui il blocco della spesa. Per il governo, insomma, gli enti territoriali non possono “fallire”, sicché per almeno un anno è data loro carta bianca per fare nuova spesa corrente senza alcun controllo. Non era questa la semplificazione che il paese attendeva.
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