Forse è vero che i due si parlano con una certa costanza, faccia a faccia o per interposto Ettore Rosato. Forse è vero che si sono perfino visti, qualche settimana fa, nel semibuio deserto mattutino dei corridoi di Montecitorio. In ogni caso, che le mosse di Luigi Di Maio le studi con attenzione, Matteo Renzi lo aveva lasciato intendere anche i suoi parlamentari, martedì sera. Quando, radunati tutti intorno a un tavolo dell'amena residenza Lavernale, sulle pendici dell'Aventino, deputati e senatori di Italia viva, un po' insofferenti di fronte alle solite stramberie grilline, si sono sentiti dire dal loro leader: "Bisogna capire cosa fa Di Maio. Sta nell'ombra, ma controlla comunque otto ministri su nove, del M5s" (senza che si capisse chi fosse l'unico dissidente). E così ieri pomeriggio, nel bel mezzo della cagnara scriteriata dei grillini intorno al Ponte di Genova, appena ha visto il post su Facebook del capo della Farnesina, ha deciso di muoversi. Di Maio intimava a Conte di procedere senza indugi alla revoca della concessione ad Aspi, sia pure dietro la retorica patetica delle promesse fatte ai familiari delle vittime; e allora Renzi s'è posto esattamente dal lato opposto, mettendo Conte nella strettoia: e in un'intervista alla Stampa ha detto che no, i Benetton non è pensabile di estrometterli sic et simpliciter dalla gestione delle autostrade, e che la concessione rinnovata nel 2008 dal governo di centrodestra, sia pure eccessivamente favorevole per il privato, va comunque rispettata.
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