Sulla questione della (necessaria) proroga dello stato di emergenza, il governo ha combinato una serie di pasticci. Ha aspettato ad annunciarla a pochi giorni dalla scadenza del decreto precedente, ha lasciato solo il premier, invece di motivare il suo annuncio con una dichiarazione per esempio delle autorità sanitarie, ha in un primo tempo annunciato una scadenza eccessiva, la fine dell’anno, per poi rinculare alla fine di ottobre. Va detto che la misura è necessaria per dare fondamento giuridico al mantenimento delle misure di distanziamento e all’obbligo di mascherine, oltre che alle decisioni che si rivelassero necessarie per contenere i nuovi focolai locali di contagio. Il modo un po’ spregiudicato e dilettantesco con cui la proroga è stata annunciata ha dato il pretesto all’opposizione e non solo, per innescare una campagna propagandistica sulla “democratura”. Se è vero che in questo atteggiamento strumentale si esprime una certa impotenza delle opposizioni, va detto che le critiche provenienti invece da personalità e intellettuali ipersensibili alle questioni istituzionali sono anch’esse esagerate. A vigilare sulla costituzionalità dei decreti c’è il Quirinale, che ha dimostrato di saper vigilare attentamente su ogni sconfinamento. Forse un po’ più di sensibilità istituzionale avrebbe giovato, e sul piano politico aver trascurato di seguire un percorso meno affrettato avrebbe potuto evitare alcune levate di scudi.
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