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editoriali

Ma Giorgetti vuole spegnere l'Ilva?

Redazione

Il piano B su Taranto del ministro leghista non promette nulla di buono 

L’ultimo piano industriale Ilva è stato firmato insieme al contratto di ingresso dello stato il 10 dicembre 2020 sotto il governo Conte. E’ stato presentato il 23 dicembre ai sindacati dagli allora ministri Gualtieri, Patuanelli, Catalfo, Provenzano, e da Arcuri e i commissari Ilva in Amministrazione Straordinaria. Rispetto al precedente prevedeva un ritardo di due anni al 2025 per l’ottimizzazione a 8 milioni di produzione con asset a due altoforni e un forno elettrico. Nel 2021 deve partire il revamping dell’altoforno numero 5 (afo5) per riaccendersi nel 2024 con i suoi 3,5 milioni di produttività. Rispetto all’occupazione nel nuovo piano pubblico sparisce il riassorbimento previsto nel contratto Arcelormittal di tutti i 1.600 cassintegrati attualmente in carico all’amministrazione straordinaria, che non è specificato se rimarrebbero in cigs a vita o licenziati; più altri 3.000 cassintegrati almeno per i prossimi due anni. Per il piano precedente, elaborato da Calenda, ci vollero 2 anni di trattativa sindacale e si chiuse sostanzialmente a zero esuberi, e 100 mila euro di esodo volontario.

Il ministro Giorgetti, lunedì, ha dichiarato che sta aspettando la sentenza del consiglio di stato (contro lo spegnimento degli impianti voluto dal sindaco di Taranto) per presentare un nuovo piano industriale. Non si capisce il motivo dell’esigenza né perché coloro che lo avevano firmato, e che sono al governo con Giorgetti, lo consentano senza fiatare. Tantomeno si capisce perché debba scriverlo un ministro, anziché il cda. Se l’Italia dovesse scegliere di spegnere anche gli ultimi due altoforni di Ilva – è quello che vuole Giorgetti? – abbandonerebbe per sempre il ciclo integrale dell’acciaio. Eppure la sua trasformazione con tecnologie ecologiche oggi è possibile: nel resto del mondo vanno a plastica, a biomasse, a gas, e catturano Co2. Solo in Italia li spegniamo anziché riconvertirli. Ci sono mille progetti validi, moderni e ambientalmente sostenibili per rifare l’area a caldo e un paese industriale. Forse ciò che manca, a Taranto, è ancora una volta la politica.

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