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editoriali

Gli scivoloni del Pd sulla giustizia

Redazione

Super intransigente sullo Zan, molto flessibile sul garantismo. Perché?

Il Pd, o meglio il suo segretario Enrico Letta, rifiuta di trattare qualsiasi pur modesta correzione alla legge Zan sulla repressione dell’omofobia, mentre si mostra assai compiacente per le richieste di modifica della riforma della giustizia penale richieste da Giuseppe Conte, nonostante l’abbia approvata in Consiglio dei ministri e abbia accettato in quella sede l’impegno a portarla all’approvazione senza modifiche. Questo comportamento contraddittorio si spiega (ma si giustifica?) con le prospettive di alleanze future o anche immediate. Letta è convinto che il centrosinistra sia competitivo alle prossime elezioni politiche solo se aggrega i 5 stelle, si candida a Siena dove conta anche sul loro appoggio, quindi è interessato a mostrare ampie disponibilità nei loro confronti, mentre sulla legge Zan rifiuta di trattare con l’arcinemico Matteo Salvini.

Al leader leghista chiede di rompere con Orbán come condizione preliminare a un incontro, ma non batte ciglio quando Beppe Grillo inneggia alla repressione cubana. In politica le alleanze sono fondamentali e sarebbe da ingenui chiedere a un leader di partito di non tenerne conto. Però se si dà l’impressione di subire l’iniziativa degli ipotetici alleati invece di costruire una relazione basata su un esame razionale dei problemi, si rischia di avere problemi interni che superano i vantaggi. I ministri del Pd collaborano proficuamente con Mario Draghi e con i loro colleghi di governo, compresi quelli del centrodestra, e sul rifiuto di confronto sugli aspetti critici della legge Zan c’è un certo malumore anche in settori del Pd. Anche questi elementi rendono la tattica di Letta piuttosto pericolosa, al limite della scommessa. Draghi e Cartabia sono costretti dall’atteggiamento di Letta ad aprire una trattativa, l’ennesima trattativa, sulla riforma della giustizia e questo certamente non li mette di buon umore. Così il peso specifico del centrodestra nella convergenza di maggioranza cresce, mentre il ruolo del Pd, che si era presentato come centrale, scivola a un livello inferiore. Vale davvero la pena di correre questi rischi e subire questi danni certi e immediati per un’alleanza futura e ancora del tutto incerta? Non è una domanda retorica o maliziosa.

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